Lo sviluppo della cultura in America – musica, ballo, architettura, arti visive e letteratura – è stato contrassegnato da una tensione fra due forti fonti di ispirazione: la raffinatezza europea e l’originalità nazionale. Frequentemente i migliori artisti americani sono riusciti a coniugare entrambe le fonti. Riportiamo qui alcune delle più importanti figure americane rappresentative nelle arti e nella cultura, che hanno indagato con la loro attività il conflitto tra vecchio e nuovo mondo.
MUSICA
Fino al ventesimo secolo, la musica “seria” in America era stata modellata su campioni e da idiomi europei. Un’eccezione era la musica del compositore Louis Moreau Gottschalk (1829-1869), figlio di padre britannico e di madre creola. Gottschalk animò la sua musica con le melodie delle piantagioni ed i ritmi caraibici che aveva sentito nella sua città natale, New Orleans. Fu il primo pianista americano ad ottenere un riconoscimento internazionale, ma morì prematuramente.
Più rappresentative della originale musica americana erano le composizioni di Edward MacDowell (1860-1908), che non solo prendeva spunto da campioni europei, ma resistette fortemente ad essere etichettato come “compositore americano”. Egli non riusciva ad andare oltre lo stesso concetto che ha contraddistinto molti scrittori americani della prima ora: essere solamente ed interamente americani, pensavano, significava essere provinciali.
Una musica classica caratteristicamente americana giunse quando compositori come George Gershwin (1898-1937) e Aaron Copland (1900-1990) fusero insieme le melodie ed i ritmi locali con le forme musicali prese in prestito dall’Europa. “Rhapsody in blue” di Gershwin e la sua opera Porgy and Bess erano influenzati dal jazz e dalle canzoni popolari afro-americane. Parte della sua musica è inoltre compiutamente urbana: l’inizio del suo “Un americano a Parigi”, per esempio, imita il clacson di un taxi.
Come Harold C. Schonberg scrive in “Vite dei grandi compositori”, Copland aiutò a rompere la stretta mortale della dominazione tedesca sulla musica americana. Copland aveva studiato a Parigi, dove era stato incoraggiato a partire dalla tradizione per poi aprire al suo interesse per il jazz. Oltre a scrivere sinfonie, concerti ed un’opera, egli compose colonne sonore per molti film. Tuttavia, rimase famoso soprattutto per i suoi accompagnamenti ai balletti, sulla base delle canzoni popolari americane; fra di loro ricordiamo “Billy the Kid”, ”Rodeo” e “Appalachian Spring”.
Un altro originale artista americano è stato Charles Ives (1874-1954), che ha unito elementi di musica classica popolare con le dissonanze. “Capii che non potevo andare avanti usando le corde di un tempo”, spiegava. “Sentivo che c’era qualcos’altro”. La sua musica idiosincratica è stata raramente suonata durante la sua vita, ma Ives ora è riconosciuto come un innovatore che ha previsto gli sviluppi musicali del ventesimo secolo. I compositori che sono arrivati dopo Ives hanno sperimentato con 12 scale di tono, minimalismi ed altre innovazioni che alcuni hanno definito alienanti.
Nelle ultime decadi del ventesimo secolo c’è stata una tendenza a tornare indietro, verso una musica che soddisfa sia il compositore che l’ascoltatore, uno sviluppo che può essere collegato con la difficile condizione dell’orchestra sinfonica in America. Diversamente dall’Europa, in cui è comune che i governi supportino le loro orchestre e compagnie d’opera, le arti in America ottengono poco supporto pubblico. Per sopravvivere, le orchestre sinfoniche dipendono in gran parte dalle donazioni e dalle entrate relative alla vendita dei biglietti in occasione delle performances.
Alcuni direttori d’orchestra hanno pensato di andare incontro alle esigenze del pubblico più numeroso introducendo però nuova musica: piuttosto che limitare la nuova musica, questi direttori la programmavano parallelamente con i pezzi tradizionali. Nel frattempo l’opera, vecchia e nuova, sta rifiorendo: ma essendo gravoso l’impegno di organizzare concerti, esso dipende fortemente dalla generosità di coloro che donano contribuzioni per tale proposito.
DANZA
Strettamente collegata allo sviluppo della musica americana all’inizio del ventesimo secolo fu l’emergere di una nuova e caratteristicamente americana forma d’arte, la danza moderna. Fra gli innovatori c’era Isadora Duncan (1878-1927), che introdusse il movimento puro e non strutturato invece delle posizioni del balletto classico.
La linea principale di sviluppo, tuttavia, partì dalla compagnia di ballo di Ruth St. Denis (1878-1968) e del suo marito-partner ballerino, Ted Shawn (1891-1972). La sua allieva Doris Humphrey (1895-1958) cercò invece l’ispirazione nella società e nel conflitto umano. Un’altra allieva della St. Denis, Martha Graham (1893-1991), la cui compagnia di base a New York divenne probabilmente la più famosa nel mondo della danza moderna, cercò di esprimere una passione basata sugli istinti interiori. Molti dei lavori più popolari della Graham sono stati prodotti in collaborazione con alcuni tra i più importanti compositori americani, “Appalachian Spring” con Aaron Copland, per esempio.
I coreografi venuti in seguito hanno cercato nuovi metodi di espressione. Merce Cunningham (1919-) ha introdotto l’improvvisazione ed il movimento casuale nelle performances. Alvin Ailey (1931-1989) ha mescolato nella sua arte elementi di danza africana e musica nera. Recentemente, coreografi come Mark Morris (1956-) e Liz Lerman (1947-) hanno sfidato la convenzione che voleva tutti i ballerini snelli e giovani. Il loro credo, messo in pratica nelle loro composizioni, è che il movimento aggraziato ed emozionante non sia limitato dall’età o dal tipo di corpo.
All’inizio del ventesimo secolo il pubblico statunitense è stato inoltre introdotto al balletto classico da alcune compagnie itineranti che proponevano ballerini europei. Le prime compagnie americane di balletto nacquero negli anni ’30 dello scorso secolo, quando ballerini e coreografi si unirono con alcuni visionari amanti del balletto come Lincoln Kirstein (1907-1996). Kirstein ha invitato negli USA il coreografo russo George Balanchine (1904-1983), nel 1933, e i due hanno fondato la School of American Ballet, che si è trasformata nel 1948 nella New York City Ballet. Richard Pleasant (1909-1961), organizzatore di numerosi balletti e agente pubblicitario, fondò la seconda più importante compagnia nel settore, l’American Ballet Theatre, insieme con la ballerina e mecenate Lucia Chase (1907-1986), nel 1940.
Paradossalmente, gli americani introdussero i classici russi nei loro repertori, proprio mentre Balanchine annunciava che la sua nuova compagnia americana avrebbe dovuto basare il suo lavoro su musica differente e su nuovi impianti da inserire nell’idioma classico, e non nel tradizionale repertorio del passato. Da allora, la scena americana del balletto è stata una miscela di revival classici ed opere originali, con le coreografie di talentuosi ex ballerini come Jerome Robbins (1918-), Robert Joffrey (1930-1988), Eliot Feld (1942-), Arthur Mitchell (1934-) e Mikhail Baryshnikov (1948-).
ARCHITETTURA
Il contributo inequivocabile dell’America all’architettura mondiale è stato il grattacielo, le cui linee audaci e sfacciate lo hanno reso il simbolo della potenza capitalista. Reso possibile tramite le tecniche delle nuove costruzioni e l’invenzione dell’ascensore, il primo grattacielo fu costruito a Chicago nel 1884.
Molte delle più accattivanti e antiche torri furono progettate da Louis Sullivan (1856-1924), il primo grande architetto moderno americano. Il suo allievo più talentuoso era Frank Lloyd Wright (1869-1959), che spese molta della sua carriera progettando residenze private mediante nuove soluzioni che mescolavano immobili e spazi aperti. Una delle sue costruzioni più note, tuttavia, è un edificio pubblico: il museo Guggenheim a New York.
Gli architetti europei che emigrarono negli Stati Uniti prima della seconda guerra mondiale lanciarono quello che si è trasformato in un movimento dominante nell’architettura, lo stile internazionale. Forse i più influenti tra questi immigrati erano Ludwig Mies van der Rohe (1886-1969) e Walter Gropius (1883-1969), entrambi ex direttori della famosa scuola tedesca di design, il Bauhaus. Basate sulla forma geometrica, le costruzioni nel loro stile sono state elogiate come monumenti della vita industriale americana ma anche definite con spregio “scatole di vetro”. Per reazione, gli architetti americani più giovani come Michael Graves (1945-) hanno rifiutato il look austero e schematico in favore di costruzioni “postmoderne”, con notevoli profili e audaci decorazioni che alludevano agli stili classici dell’architettura.
ARTI VISIVE
La prima nota scuola americana di pittura – la Hudson River school – nacque nel in 1820. Come per la musica e la letteratura, questo sviluppo fu ritardato fino a quando gli artisti non percepirono che il nuovo mondo poteva offrire molte unicità; in questo caso l’espansione verso ovest degli abitanti portò la trascendente bellezza dei paesaggi di frontiera all’attenzione dei pittori.
L’immediatezza e la semplicità dei pittori della Hudson River school hanno influenzato la visione di artisti successivi come Winslow Homer (1836-1910), che ha descritto l’America rurale – il mare, le montagne e la gente che viveva loro vicino. La vita della città della classe media ispirò Thomas Eakins (1844-1916), un realista intransigente la cui risoluta onestà ha tagliato di netto la raffinata la preferenza per il sentimentalismo romantico.
La polemica presto si è trasformata in modo di vivere per gli artisti americani. Infatti, molta della pittura e della scultura americana dal 1900 in poi è coincisa con una serie di sommosse contro la tradizione. “All’inferno i valori artistici” annunciò Robert Henri (1865-1929). Egli era il capo di quello che i critici, dopo che il gruppo iniziò a ritrarre gli aspetti più squallidi della vita urbana, hanno denominato la scuola di pittura “bidone della spazzatura”. Presto gli artisti-spazzatura cederono il passo ai modernisti che arrivavano dall’Europa – i cubisti ed i pittori astratti promossi dal fotografo Alfred Stieglitz (1864-1946) nella sua Galleria 291 a New York.
Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, un gruppo di giovani artisti di New York formò il primo movimento americano che esercitò una notevole influenza sugli artisti stranieri: l’espressionismo astratto. Fra i capi del movimento vi erano Jackson Pollock (1912-1956), Willem de Kooning (1904-1997) e Mark Rothko (1903-1970). L’espressionismo astratto abbandonava le formali convenzionali rappresentazioni di oggetti reali per concentrarsi su combinazioni istintive di spazio e colore e per dimostrare gli effetti dell’azione fisica della pittura sulla tela di canapa.
I membri della generazione artistica seguente hanno favorito una forma di astrazione differente: lavori di diversi mezzi miscelati insieme. Fra loro ricordiamo Robert Rauschenberg (1925-) e Jasper Johns (1930-), che nelle loro composizioni usavano foto, carta da giornale ed oggetti scartati da altri. Artisti pop come Andy Warhol (1930-1987), Larry Rivers (1923-) e Roy Lichtenstein (1923-) riprodussero con cura satirica oggetti ed immagini di quotidiana cultura popolare americana – bottiglie della Coca Cola, contenitori in latta di zuppe, fumetti.
Oggi gli artisti americani tendono a non essere limitati alle scuole, agli stili, o ad un solo mezzo di espressione. Un’opera d’arte può definirsi una performance su un palcoscenico oppure un manifesto scritto a mano; potrebbe essere un voluminoso taglio di design in un deserto occidentale o una severa disposizione di pannelli di marmo con le iscrizioni dei nomi dei soldati americani caduti in Vietnam. Forse il più influente contributo americano del ventesimo secolo all’arte del mondo è stata la vivacità, un messaggio secondo il quale lo scopo centrale di un nuovo lavoro è implementare il continuo dibattito sulle definizione stessa di arte.
LETTERATURA
Molti dei primi scritti americani sono derivati dalle forme e dagli stili europei trasferiti nel nuovo mondo. Ad esempio, Wieland ed altri romanzi di Charles Brockden Brown (1771-1810) sono energiche imitazioni dei romanzi gotici scritti all’epoca in Inghilterra. Anche i racconti molto ben scritti di Washington Irving (1783-1859), i notevoli “Rip Van Winkle” e “The Legend of Sleepy Hollow”, sembrano proprio europei, malgrado la loro ambientazione nel nuovo mondo.
Forse il primo scrittore americano a produrre uno stile innovativo e audace fu Edgar Allan Poe (1809-1849). Nel 1835, Poe iniziò a scrivere racconti brevi – compreso “The Masque of the Red Death”, “The Pit and the Pendulum”, “The Fall of the House of Usher” e “The Murders in the Rue Morgue” – che riguardavano livelli precedentemente inesplorati della psicologia umana e spingevano i limiti del romanzo verso il mistero e la fantasia.
Nel frattempo, nel 1837, il giovane Nathaniel Hawthorne (1804-1864) raccoglieva alcune delle sue storie nell’opera “Twice-Told Tales”, un volume ricco di simbolismi e di avvenimenti occulti. Hawthorne continuò scrivendo interi racconti fantastici, romanzi quasi allegorici che esploravano temi come la colpa, l’orgoglio e la repressione delle emozioni nella sua terra natale, il New England. Il suo capolavoro, “The Scarlet Letter”, è il folle dramma di una donna scacciata dalla sua comunità per aver commesso adulterio.
Il romanzo di Hawthorne ebbe una profonda influenza sul suo amico Herman Melville (1819-1891), il cui nome fu reso famoso dai suoi esotici racconti che prendevano spunto dalle sue avventure marittime. Ispirato dall’esempio di Hawthorne, Melville continuò a scrivere i romanzi ricchi di speculazioni filosofiche. In “Moby-Dick”, il viaggio avventuroso a caccia della balena si trasforma nella chiave per esaminare temi come l’ossessione, la natura della malvagità e la lotta umana contro gli elementi della natura. In un altro bel lavoro, il breve “Billy Budd”, Melville tratta in maniera drammatica i richiami conflittuali del dovere e della passione a bordo di una nave in tempo di guerra. I suoi libri più profondi hanno venduto poco, ed egli fu a lungo dimenticato dopo la sua morte, per essere poi riscoperto nei primi anni del ventesimo secolo.
Nel 1836 Ralph Waldo Emerson (1803-1882), un ex pastore, pubblicò un sorprendente saggio dal titolo “Nature”, nel quale sosteneva fosse possibile esimersi dalla religione organizzata e raggiungere un alto stato spirituale studiando e rispondendo al mondo naturale. Il suo lavoro non ha influenzato solamente gli scrittori che si riunirono intorno a lui, formando un movimento conosciuto come Transcendentalismo, ma anche il pubblico, che assistette alle sue conferenze.
Tra i colleghi di Emerson, il pensatore più dotato era Henry David Thoreau (1817-1862), un risoluto anticonformista. Dopo avere vissuto per conto suo per due anni in una baracca in uno stagno boscoso, Thoreau scrisse “Walden”, una memoria lunga come un libro che predicava la resistenza agli importuni dettami della società organizzata. Le sue radicali scritture esprimono una tendenza molto radicata verso l’individualismo nello stereotipo americano.
Mark Twain (pseudonimo di Samuel Clemens, 1835-1910) fu il primo grande scrittore americano nato lontano dalla costa dell’est, nello Stato del Missouri. I suoi capolavori, il saggio “Life on the Mississippi“ ed il romanzo “Adventures of Huckleberry Finn” fecero sì che lo stile di Twain –-influenzato dal giornalismo, sposato col dialetto, diretto e disadorno ma anche altamente evocativo ed irriverentemente divertente – cambiasse il modo in cui gli scrittori americani usavano la loro lingua. I suoi personaggi parlano come l’americano medio della strada, usando dialetti locali, neologismi ed accenti regionali.
Henry James (1843-1916) affrontò il dilemma vecchio e nuovo mondo direttamente facendone l’oggetto della sua opera. Anche se nacque a New York, James spese la maggior parte dei suoi anni da adulto in Inghilterra. Molti dei suoi romanzi si concentrano sugli americani che vivono o viaggiano in Europa. Con il suo intricato e altamente qualificato linguaggio e l’analisi minuziosa delle sfumature emozionali, il romanzo di James può intimidire. Fra le sue novelle più accessibili ricordiamo “Daisy Miller”, che narra di una incantevole ragazza americana in Europa, e “The Turn of the Screw”, un’enigmatica storia di fantasmi.
I due più grandi poeti americani del diciannovesimo secolo non avrebbero potuto essere più differenti per temperamento e stile. Walt Whitman (1819-1892) era un lavoratore, un viaggiatore, che si era impegnato come infermiere durante la guerra civile americana (1861-1865), e un poetico innovatore. La sua migliore opera fu “Leaves of Grass”, in cui usa versetti a flusso libero e di irregolare lunghezza per descrivere la democrazia americana. Facendo un ulteriore passo nella stessa direzione, il poeta si identifica con la vasta gamma delle esperienze americane e riesce ad evitare di apparire come un grossolano egocentrico. Per esempio, in “Song of Myself”, il lungo poema centrale di “Leaves of Grass”, Whitman scrive: “Questi sono realmente i pensieri di tutti gli uomini in tutte le età e terre, non sono miei…”.
Whitman era inoltre un poeta del corpo – “il corpo elettrico”, come lo ha denominato. In “Studies in Classic American Literature”, il romanziere inglese D.H. Lawrence ha scritto che Whitman “era il primo a rompere la antica concezione morale che voleva che l’anima di un uomo fosse ‘migliore’ e ‘superiore’ alla carne”.
Emily Dickinson (1830-1886), invece, ha vissuto la riparata vita di una gentile donna senza marito in una piccola città del Massachusetts. All’interno della sua struttura formale, la sua poesia è ingegnosa, arguta, squisitamente modellata e psicologicamente penetrante. Il suo lavoro era non convenzionale per la sua epoca e solo una piccola parte delle sue opere fu pubblicata durante il corso della sua vita.
Molte delle sue poesie trattano il tema della morte, spesso con una maliziosa inclinazione. “Poiché non potevo fermarmi per la morte”, inizia una di esse, “lei gentilmente si fermò per me”. L’inizio di un’altra poesia della Dickinson gioca con la sua posizione di donna in una società dominata dagli uomini e di poetessa non riconosciuta: “Sono nessuno! Chi sei tu ? Sei anche tu nessuno?”
All’inizio del ventesimo secolo, i romanzieri americani espansero le ambientazioni sociali delle loro opere fino a ricomprendere sia le classi elevate che quelle più basse. Nelle sue storie e nei suoi romanzi, Edith Wharton (1862-1937) indagò l’alto ceto sociale della costa est nel quale era cresciuta. Uno dei suoi libri più apprezzati, “The Age of Innocence”, riguarda la storia di un uomo che sceglie di sposare una donna convenzionale e socialmente accettabile piuttosto che una affascinante straniera. Circa nello stesso periodo, Stephen Crane (1871-1900), più noto per il suo romanzo sulla guerra civile “The Red Badge of Courage”, descriveva la vita delle prostitute di New York in “Maggie: A Girl of the Streets”. E in “Sister Carrie”, Theodore Dreiser (1871-1945) ritraeva una ragazza di campagna che va a vivere a Chicago e diventa una mantenuta.
La sperimentazione negli stili e nelle forme presto raggiunse la nuova libertà introdotta riguardo ai contenuti. Nel 1909, Gertrude Stein (1874-1946), fino ad allora espatriata a Parigi, pubblicò “Three Lives”, un’opera innovativa influenzata dalla sua familiarità con cubismo, jazz ed altri movimenti presenti nell’arte e nella musica contemporanee.
Il poeta Ezra Pound (1885-1972) nacque in Idaho ma visse grande parte della sua vita in Europa. Il suo lavoro è complesso, a volte oscuro, con multipli riferimenti ad altre forme d’arte e ad un’ampia offerta letteraria, sia occidentale che orientale. Egli ha influenzato molti altri poeti, in particolar modo T.S. Eliot (1888-1965), un altro espatriato. La poesia di Eliot era cerebrale, e si poggiava su una struttura densa di simboli. In “The Waste Land” Eliot incarna, con immagini spezzettate e stregate, una invidiosa visione della società subito dopo la prima guerra mondiale. Come quella di Pound, la poesia di Eliot potrebbe essere altamente allusiva, ed alcune edizioni di “The Waste Land” uscirono con le note a piè di pagina fornite dal poeta stesso. Eliot ha vinto il premio Nobel per la letteratura nel 1948.
Gli scrittori americani hanno inoltre espresso la disillusione che seguì la guerra. Le storie ed i romanzi di F. Scott Fitzgerald (1896-1940) catturano l’instancabile e ribelle atteggiamento alla ricerca del piacere degli anni ‘20. Il tema caratteristico di Fitzgerald, espresso acutamente in “The Great Gatsby”, è la tendenza dei sogni dorati di gioventù a dissolversi nel fallimento e nel disappunto.
Ernest Hemingway (1899-1961) conobbe da vicino la violenza e la morte durante la prima guerra mondiale, quando era un autista di ambulanze, e la carneficina senza senso lo persuase del fatto che la lingua astratta fosse fondamentalmente vuota ed ingannevole. Tolse le parole inutili dal suo stile di scrittura, semplificando la struttura della frase e concentrandosi su concreti oggetti e su concrete azioni. Aderì al codice morale che enfatizzava il coraggio sotto pressione, ed i suoi protagonisti erano uomini forti e silenziosi che spesso trattavano le donne maldestramente. “The Sun Also Rises” e “A Farewell to Arms” sono generalmente considerati i suoi romanzi migliori; ha vinto il premio Nobel per la letteratura nel 1954.
Oltre che per il romanzo americano, gli anni ‘20 furono un periodo ricco per la drammaturgia. Non c’era ancora stato un importante drammaturgo americano fino al momento in cui Eugene O’Neill (1888-1953) non iniziò a scrivere le sue opere. Vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 1936, O’Neill prese spunto dalla mitologia classica, dalla bibbia e dalla nuova scienza della psicologia per esplorare la vita interiore. Ha trattato con franchezza temi come la sessuologia ed i litigi familiari, ma il suo maggiore interesse riguardava la ricerca individuale dell’identità. Uno dei suoi più grandi successi è “Long Day’s Journey Into Night”, uno straziante dramma di grande respiro contenutistico, basato in gran parte sulla sua famiglia.
Un altro scrittore americano estremamente originale fu Tennessee Williams (1911-1983), che espresse la sua provenienza del sud con opere poetiche e sensazionali, che solitamente avevano come protagonista una donna di grande sensibilità intrappolata in un ambiente molto brutale. Molti dei suoi libri sono stati trasformati in film, come ad esempio “A Streetcar Named Destre” e “Cat on a Hot Tin Roof”.
Cinque anni prima di Hemingway, un altro romanziere americano aveva vinto il premio Nobel: William Faulkner (1897-1962). Faulkner riuscì a ricomprendere un vastissimo panorama sociale e culturale a Yoknapatawpha, una contea del Mississippi di sua invenzione dove erano ambientati i suoi romanzi. Faulkner usava il girovagare apparentemente inedito dei suoi personaggi per rappresentare il loro stato interiore – una tecnica chiamata “flusso di coscienza” (infatti, questi passaggi sono inseriti ed allineati con attenzione, e la loro apparente casualità è solo un’impressione). Inoltre egli mescola i vari piani temporali per mostrare come il passato – particolarmente l’epoca della schiavitù nel sud del Paese – resiste in qualche modo anche nel presente. Fra le sue grandi novelle ricordiamo “The Sound and the Fury”, “Absalom, Absalom”, “Go Down, Moses”, e “The Unvanquished”.
Faulkner faceva parte di una rinascita letteraria del sud che includeva figure come Truman Capote (1924-1984) e Flannery O’Connor (1925-1964). Anche se Capote ha scritto storie brevi, saggi e romanzi, il suo capolavoro fu “In Cold Blood”, una vera e propria conta di omicidi multipli e delle loro conseguenze che fuse insieme tenace cronaca insieme con la penetrante psicologia e la prosa cristallina del romanziere. Altri professionisti del “romanzo-non romanzo” sono Norman Mailer (1923-), che narra della marcia pacifista sul Pentagono in “Armies of the Night “, e Tom Wolfe (1931-), che ha descritto gli astronauti americani in “The Right Stuff”.
Flannery O’Connor era cattolica – e dunque una straniera nel sud fortemente protestante nel quale era cresciuta. I suoi personaggi sono fondamentalisti protestanti ossessionati con Dio e con Satana. La O’Connor tuttavia è più nota per le sue brevi storie tragicomiche.
> Gli anni ‘20 avevano visto la crescita di una comunità artistica nera nel distretto di Harlem, a New York. Il periodo denominato “il rinascimento di Harlem” ha prodotto poeti molto dotati come Langston Hughes (1902-1967), Countee Cullen (1903-1946) e Claude McKay (1889-1948). La scrittrice Zora Neale Hurston (1903-1960) ha unito il dono per il saper raccontare storie con i suoi studi antropologici scrivendo realistiche vicissitudini tratte dalla tradizione orale afro-americana. Attraverso libri come il romanzo “Their Eyes Were Watching God” – che tratta della vita e dei matrimoni di una donna afro-americana di pelle chiara – la Hurston ha influenzato la successiva generazione di scrittrici di colore.
Dopo la seconda guerra mondiale, una nuova ricettività alle diverse voci ha introdotto i scrittori neri nella corrente principale della letteratura americana. James Baldwin (1924-1987) espresse il suo disdegno per il razzismo e la sua celebrazione della sessualità in “Giovanni’s Room”. In “Invisible Man”, Ralph Ellison (1914-1994) collegava la difficile condizione dei neri afro-americani, il cui colore non può permettere che risultino invisibili alla cultura della maggioranza bianca, con il tema più grande della ricerca umana dell’identità nel mondo moderno.
Negli anni 50 la costa ovest gettò le basi di un nuovo movimento letterario, la poesia ed il romanzo noti come “beat generation”, un nome che faceva riferimento allo stesso tempo al ritmo della musica jazz, al fatto che ritenevano esausta la società “post-seconda guerra mondiale”, e ad un interesse circa l’esperienza con le droghe, l’alcool ed il misticismo orientale. Il poeta Allen Ginsberg (1926-1997) diede l’esempio di protesta sociale ed estasi visionaria in “Howl “, un lavoro di Whitmanesque che comincia con questo potente incipit: “Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla follia”. Jack Kerouac (1922-1969) ha celebrato lo stile di vita “beat” edonista e spensierato nel suo romanzo “On the Road”.
Da Irving e Hawthorne ad oggi, il racconto breve è stato la forma stilistica americana favorita. Uno dei maestri del ventesimo secolo fu John Cheever (1912-1982), che ha introdotto ancora un’altra sfaccettatura della vita americana nel regno della letteratura: la periferia ricca che si è sviluppata nei dintorni delle grandi città importanti. Cheever è stato lungamente associato con The New Yorker, un magazine celebre per il suo spirito sofisticato.
Anche se lo studio del trend nella letteratura contemporanea può essere pericoloso, è notevole da segnalare la recente emersione del romanzo scritto da membri di gruppi etnici di minoranza. Lo scrittore indiano americano Leslie Marmon Silko (1948-) usa la lingua familiare e le storie tradizionali per scrivere poemi lirici e di moda come “In Cold Storm Light”. Amy Tan (1952-), di discendenza cinese, ha descritto le iniziali difficoltà dei suoi genitori in California in “The Joy Luck Club”. Oscar Hijuelos (1951-), uno scrittore con radici cubane, ha vinto il premio Pulitzer nel 1991 per il suo romanzo “The Mambo Kings Play Songs of Love”. In una raccolta di novelle, la prima delle quali è “A Boy’s Own Story”, Edmund White (1940-) ha descritto le vicissitudini di crescere omosessuali in America. Per concludere, le donne afro-americane hanno prodotto alcuni dei più forti romanzi delle ultime recenti decadi. Una di loro, Toni Morrison (1931-), autrice di “Beloved” e di altre opere, ha vinto, seconda donna americana nella storia, il premio Nobel per la letteratura nel 1993.
BASEBALL
Lo sport che più di ogni altro evoca nostalgia fra gli americani è il baseball. Molti lo giocano da bambini (o giocano il suo stretto parente, il softball), tanto che è ormai considerato “il passatempo nazionale”. Il baseball è anche un gioco per così dire democratico. A differenza del football e del basket, il baseball può essere praticato bene anche da persone di altezza e peso medi.
Il baseball è nato prima della guerra civile americana (1861-1865) come “rounders”, un gioco semplice giocato sulla sabbia. I primi campioni lo rifinirono allo scopo di includervi l’abilità ed il discernimento mentale che ha reso il cricket rispettabile in Inghilterra. In particolare, diedero importanza al punteggio e alle statistiche. “Oggi” nota John Thorn nell’Enciclopedia del Baseball, “il baseball senza le statistiche è inimmaginabile”. Senza dubbio è maggiore il numero degli americani che sanno che il record di 61 “home run” del 1961 di Roger Maris battè quello di 60 del 1927 di Babe Ruth rispetto al numero di americani che sanno che i 525 voti dei collegi elettorali del Presidente Reagan nel 1984 superarono il record di 523 del Presidente Roosevelt del 1936.
Nel 1871 nacque il primo campionato professionistico di baseball. Per l’inizio del ventesimo secolo la maggior parte delle grandi città degli Stati Uniti orientali avevano una squadra professionistica di baseball. Le squadre erano divise in due campionati, il “National” e l’”American”; durante la stagione regolare (“regular season”), una squadra giocava solo contro altre squadre all’interno del suo campionato. Era stabilito che la squadra con il maggior numero di vittorie in ciascun campionato aveva vinto il “pennant”; le due squadre vincitrici dei rispettivi “pennants” si incontravano dopo la fine della regular season nelle “world series”. La vincitrice di almeno quattro partite (di sette possibili) era il campione di quell’anno. Questo sistema è valido ancora oggi, sebbene i campionati siano ora suddivisi in più gironi e i “pennants” siano decisi in serie di eliminatorie (“playoff”) post-stagionali tra i vincitori di ciascun girone.
Il baseball divenne importante negli anni ‘20, quando Babe Ruth (1895-1948) portò i New York Yankees a vincere molte world series e divenne un eroe nazionale in virtù dei suoi home run (ovvero quando la palla non può essere giocata perché il battitore la colpisce mandandola direttamente fuori dal campo). Nel corso dei decenni ogni squadra ha avuto i suoi grandi giocatori. Uno dei più notevoli fu Jackie Robinson (1919-1972) dei Brooklyn Dodgers, un atleta dotato e coraggioso che nel 1927 fu il primo giocatore afro-americano nei campionati principali (prima di Robinson, i giocatori di colore erano confinati nella “Negro League”).
A partire dagli anni ‘50, il baseball sviluppò la sua portata geografica. Le città dell’ovest ebbero squadre sia convincendo alcune franchigie dell’est a spostarsi, sia fornendo le cosiddette squadre di espansione, con giocatori resi disponibili dalle squadre consolidate. Fino agli anni ’70, a causa di contratti limitativi, i proprietari delle squadre di baseball possedevano virtualmente anche i giocatori; da allora le regole sono cambiate, cosicché i giocatori sono liberi, entro certi limiti, di vendere le loro prestazioni a qualsiasi squadra. I risultati di questi cambiamenti hanno portato a guerre tra squadre e a “stelle” pagate milioni di dollari l’anno. Contrasti tra il sindacato giocatori ed i proprietari hanno a volte fermato il baseball per mesi interi. Se è vero che il baseball è contemporaneamente uno sport ed un affare, negli ultimi anni del ventesimo secolo molti tifosi scontenti consideravano quella degli affari ormai la parte dominante.
Il baseball divenne popolare in Giappone quando i soldati americani lo introdussero durante l’occupazione seguita alla seconda guerra mondiale. Negli anni ’90 un giocatore giapponese, Hideo Nomo, è stato acquistato dai Los Angeles Dodgers ed è diventato un campione. Il baseball si gioca molto anche a Cuba ed in altre nazioni caraibiche. Nelle Olimpiadi del 1996 fu una prova che il baseball era ormai popolare anche fuori dagli Stati Uniti il fatto che la medaglia d’oro fu contesa tra Giappone e Cuba, e fu vinta da quest’ultima.
BASKET
Un altro sport americano che si è molto diffuso è il basket, la pallacanestro, ora giocato da più di 250 milioni di persone in tutto il mondo in maniera organizzata, come pure da moltissimi altri in partite tra dilettanti. Il basket nacque nel 1891 quando un futuro ministro presbiteriano di nome James Naismith (1861-1939) ottenne l’insegnamento in una classe di educazione fisica all’Y.M.C.A. (Young Men’s Christian Association), una scuola di Springfield, nel Massachusetts. La classe era nota per essere fuori dalle regole e a Naismith fu ordinato di inventare un gioco nuovo per tenere occupati i ragazzi. Dal momento che si era in inverno e faceva molto freddo all’aperto, era auspicabile che il gioco si potesse svolgere al coperto.
Naismith ripensò alla sua infanzia in Canada, quando lui e i suoi amici giocavano a “duck on a rock”, che consisteva nel tentare di far cadere un grosso sasso da una roccia lanciandogli contro sassi più piccoli. Naismith ricordò anche di aver visto giocatori di rugby lanciare palloni dentro una scatola in una palestra, de ebbe l’idea di fissare in alto delle scatole in cui i giocatori avrebbero cercato di far entrare un pallone. Quando non si trovavano le scatole, egli usava delle ceste da pesca. Secondo il libro di Alexander Wolff “100 Years of Hoops”, Nasimith impiegò circa un’ora per tracciare le regole del nuovo gioco. La maggior parte di esse ancora oggi si applica in alcune forme.
Il basket si affermò perché i diplomati dell’Y.M.C.A. viaggiavano molto, perché Naismith diffuse le regole e perché c’era bisogno di un gioco semplice che si potesse organizzare al coperto durante l’inverno. Tra gli eredi dei Naismith ci fu il primo grande allenatore di basket all’interno di un college, Forrest “Phog„ Allen (1885-1974), che giocò per Naismith all’università del Kansas e lì continuò da allenatore vincendo 771 partite. Tra i campioni che giocavano per Allen c’era Wilt Chamberlain, che divenne uno dei supercampioni del basket professionistico. Una sera, nel 1962, fece segnare il record di 100 punti in una sola partita.
Il primo campionato professionistico di basket si giocò nel 1898; i giocatori guadagnavano 2,50 dollari per le partite in casa, 1,25 dollari per quelle in trasferta. Poco meno di cento anni dopo, Juwan Howard, un campione che giocava nei Washington Bullets (ora chiamati Washington Wizards), riceveva offerte per più di cento milioni di dollari per sette stagioni dagli stessi Bullets e dai Miami Heat.
Molte squadre della NBA (National Basketball Association) ora hanno giocatori stranieri, che ritornano nei loro Paesi per rappresentarli durante i giochi olimpici. Il cosiddetto “Dream Team”, composto dai migliori giocatori americani professionisti di basket, ha rappresentato gli Stati Uniti alle Olimpiadi del 1996. Il Dream Team ha vinto la medaglia d’oro ma incontrando molte difficoltà, a dimostrazione della crescente importanza internazionale del basket.
I FILM
La critica cinematografica americana Pauline Kael ha dato alla raccolta delle sue recensioni nel 1968 il titolo “Kiss Kiss Bang Bang”. Per spiegarlo, disse che le parole, prese dal poster di un film italiano, sono “forse la più breve affermazione immaginabile del richiamo del cinema”. Certamente, esse riassumono la ruvida potenza di molte pellicole americane.
Se il cinema non fu un’invenzione americana, esso è stato tuttavia il principale contributo americano all’intrattenimento mondiale. Nei primi anni del 1900, quando il mezzo di comunicazione era nuovo, molti immigranti – e in particolare gli ebrei – trovarono lavoro nell’industria statunitense dei film. Esclusi da altre occupazioni per pregiudizi razziali, essi poterono lasciare la loro impronta in una nuovissima industria: mostrare brevi film in teatri situati davanti agli empori chiamati “nickelodeons” dal prezzo del biglietto, che era di un nickel (cinque centesimi). In pochi anni uomini ambiziosi come Samuel Goldwyn, Carl Laemmle, Adolph Zukor, Louis B. Mayer ed i fratelli Warner – Harry, Albert, Samuel e Jack – erano passati alla produzione industriale. Presto furono a capo di un nuovo tipo di impresa: lo studio cinematografico, gli “studios”.
I principali studi erano collocati nel quartiere di Hollywood a Los Angeles, in California. Fino alla prima guerra mondiale i film erano girati in molte città americane, ma i produttori di film gravitavano nella California meridionale, dove si sviluppava l’industria. Erano attratti dal clima mite, che rendeva possibile girare film all’aperto per tutto l’anno, e dal variegato ambiente a loro disposizione.
Altri personaggi del cinema arrivarono dall’Europa dopo la prima guerra mondiale: registi come Ernst Lubitsch, Alfred Hitchcock, Fritz Lang e Jean Renoir; attori come Rodolfo Valentino, Marlene Dietrich, Greta Garbo, Ronald Colman e Charles Boyer, che si unirono a gruppi di attori americani – provenienti dai palcoscenici di New York e attratti dall’ovest dopo l’introduzione del sonoro – per formare una delle più importanti imprese in espansione. Al massimo culmine di popolarità del cinema alla metà degli anni ’40, gli studi sfornavano un totale di circa 400 film all’anno, visti da un pubblico di 90 milioni di americani ogni settimana.
Durante la cosiddetta età dell’oro di Hollywood, gli anni ’30 e ’40, i film uscivano dagli studi di Hollywood come le automobili che scivolavano fuori dalle linee di assemblaggio di Henry Ford. Nessun film era esattamente uguale ad un altro, ma la maggior parte seguiva la formula: western, commedie, film dell’orrore, musical, cartoni animati, film biografici ecc. Tuttavia ogni film era un po’ diverso e, a differenza dei tecnici che facevano auto, molti di quelli che facevano film erano artisti. “To Have and Have Not” (1944) è famoso non solo per l’accoppiamento di attori come Humphrey Bogart (1899-1957) e Lauren Bacall (1924-) ma anche perché fu scritto da due futuri vincitori del Premio Nobel per la letteratura: Ernest Hemingway (1899-1961), autore del romanzo su cui il copione era basato, e William Faulkner (1897-1962), che fece l’adattamento per lo schermo.
La produzione di film, però, era ancora un business e le compagnie cinematografiche facevano i soldi operando nel cosiddetto sistema degli studios. I principali studios avevano nel loro libro paga migliaia di persone – attori, produttori, registi, scrittori, cascatori, artigiani e tecnici – e possedevano centinaia di locali in grandi città e piccole cittadine in tutto il Paese, locali che proiettavano i loro film e che avevano sempre bisogno di nuovo materiale.
Ciò che è da notare, è quanto intrattenimento di qualità emerse da un sistema così rigido. Una ragione per cui ciò fu possibile è che, con tanti film che venivano girati, non tutti dovevano avere per forza un grande successo. Uno studio poteva cavarsela con un prodotto non troppo costoso avendo a disposizione un buon copione e attori anche relativamente conosciuti: “Citizen Kane” (1941), diretto da Orson Welles (1915-1985) e considerato da molti come il più grande film americano, corrisponde esattamente a questa descrizione. In altri casi registi fortemente motivati come Howard Hawks (1896-1977) e Frank Capra (1897-1991) ebbero duri contrasti con gli studios per poter esprimere le loro visioni artistiche. Il culmine per il sistema degli studios può essere individuato forse nell’anno 1939, quando uscirono molti classici come “The Wizard of Oz”, “Gone With the Wind”, “Stagecoach”, “Mr. Smith Goes to Washington” (diretto da Capra), “Only Angels Have Wings” (Hawks), “Ninotchka” (Lubitsch), and “Midnight”.
Il sistema degli studios fu messo in difficoltà nei tardi anni ’40 da due fattori: un’azione federale antitrust che separò la produzione dei film dalla loro distribuzione; l’avvento della televisione. Il numero dei film prodotti calò bruscamente anche a causa di bassi budget, perché Hollywood voleva offrire agli spettatori il tipo di spettacolo che non potevano vedere in televisione.
La sindrome del blockbuster ha continuato a condizionare Hollywood. Aggiunto ai salari stellari pagati agli attori, direttori di studio e agenti, ciò significa che i film prodotti oggi tendono ad avere enorme successo oppure costituiscono un enorme fallimento.
Gli studi ancora esistono, spesso legati con altre società di “media”, ma molti dei più interessanti film americani provengono oggi da produttori indipendenti. Le pellicole di Woody Allen (1935-), per esempio, rientrano in questa categoria. I critici assegnano loro giudizi altamente positivi e la maggior parte di essi produce profitto, ma poiché i buoni attori sono disposti a lavorare con Allen per somme relativamente basse, i suoi film costano poco. Così, se capita che un film fallisca al botteghino, la perdita non è disastrosa. Al contrario, un film interpretato da Tom Cruise o da Arnold Schwarzenegger abitualmente costa più di 10 milioni di dollari solo per il compenso dell’attore più importante. Con la prospettiva di incassi multipli di una simile somma, le amministrazioni degli studios hollywoodiani tendono a giocare sul sicuro.
MUSICA POPOLARE
Il primo grande compositore di musica popolare di stile esclusivamente americano fu Stephen Foster (1826-1864). Egli inventò un modello che da allora influenza la musica americana, unendo elementi della musica europea tradizionale a ritmi e temi afroamericani. Di origine irlandese, Foster crebbe nel sud, dove ascoltò la musica degli schiavi e vide spettacoli comici presentati da “minstrels”, dove attori bianchi truccati da neri rappresentavano canzoni e danze afroamericane. Questo materiale ispirò alcune delle migliori canzoni di Foster, che ancora oggi molti americani conoscono a memoria: “Oh! Susanna”, “Camptown Races”, “Ring the Banjo”, “Old Folks at Home” (meglio conosciuta con il suo primo verso: “Way down upon the Swanee River”).
Prima del cinema e della radio, la maggior parte degli americani si divertiva da sola o aspettava l’arrivo in città di conferenzieri e circhi, oppure delle riviste itineranti note come “vaudeville”. Decine di importanti attori americani cominciarono con la “vaudeville”. W.C. Fields, Jack Benny, George Burns and Gracie Allen, Buster Keaton, Sophie Tucker, Fanny Brice, Al Jolson e I Tre Stoogies, giusto per fare qualche nome, e c’era la richiesta di continue produzioni di nuove canzoni. Negli ultimi anni del XIX secolo, la produzione di musica divenne una grande industria negli Stati Uniti, con molte ditte raggruppate a New York, in una strada che divenne nota come “Tin Pan Alley”.
Il “vaudeville” e l’operetta europea generarono il musical di Broadway, che unisce canzoni e balli con una storia dotata di dialoghi parlati. Il primo esempio di successo del nuovo genere – e ancora uno dei migliori – fu “Showboat” di Jerome Kern, che uscì nel 1927. E’ interessante notare che “Showboat” paga un tributo all’influenza nera sulla musica americana tradizionale con una storia incentrata su un matrimonio misto e, come canzone più intensa, con il lamento di uno schiavo “Ol’ Man River”.
Lo scrittore di canzoni Irving Berlin (1888-1989) passò disinvoltamente da Tin Pan Alley a Broadway. Immigrato di origine ebrea-russa, egli scrisse alcune delle più popolari canzoni americane: “God Bless America”, “Easter Parade”, “White Christmas”, “There’s No Business Like Show Business” e “Cheek to Cheek”. Cole Porter (1891-1964) portò le canzoni da musical di Broadway ad un livello molto sofisticato, con spiritose liriche e commoventi melodie, combinate in canzoni come “Anything Goes”, “My Heart Belongs to Daddy”, “You’re the Top”, I Get a Kick Out of You”, e “It’s De-Lovely”.
Compositori neri come Scott Joplin (1868-1917) e Eubie Blake (1883-1983) trassero spunto dalla loro tradizione per comporre canzoni, pezzi ragtime per piano e, nel caso di Joplin, un’opera. Joplin fu tutt’altro che dimenticato dopo la sua morte, ma la sua musica ebbe un revival negli anni ’70. Blake compose la musica per “Shuffle Along”, il primo musical di Broadway scritto da neri e riguardante i neri, e continuò a lavorare bene fino ai novant’anni. Le canzoni “Blues”, derivate dalle canzoni cantate dagli schiavi durante il loro lavoro, divennero enormemente popolari nella città di New York e altrove negli anni ’20 e ’30; due delle più bravi cantanti di Blues furono Ma Rainey (1886-1939) e Bessie Smith (1898-1937).
JAZZ
“St. Louis Blues” di W.C. Handy è una delle canzoni più frequentemente incise del ventesimo secolo. Tra quelle registrazioni, una si distingue particolarmente: la versione di Bessie Smith del 1925, con Louis Armstrong (1900-1971) che la accompagna alla cornetta – una collaborazione di tre grandi figure (compositore, cantante, strumentista) che sfociò in un nuovo genere di musica chiamata “jazz”. Sebbene il significato di “jazz” sia oscuro, originariamente il termine aveva a che fare quasi sicuramente con il sesso. La musica, che nacque a New Orleans nei primi anni ‘20, riuniva elementi presi dal ragtime, canzoni di schiavi e bande di ottoni. Uno degli elementi distintivi del jazz era la sua fluidità: nelle esibizioni dal vivo, i musicisti quasi mai suonavano una canzone allo stesso modo due volte, ma improvvisavano variazioni sulle sue note e parole.
Incoronato da compositori e da esecutori geniali – Jelly Roll Morton (1885-1941) e Duke Ellington (1899-1974), Louis Armstrong e Benny Goodman (1909-1986) e Bix Beiderbecke (1903-1931), Billie Holiday (1915-1959), e Ella Fitzgerald (1918-1996) – il jazz fu la musica popolare sovrana dagli anni ’20 fino a tutti gli anni ’40. Negli anni ’30 e ’40 la forma di jazz più popolare era la “big band swing”, così chiamata perché composta da grandi formazioni dirette da persone come Glenn Miller (1909-1944) e William “Count” Basie (1904-1984). Nei tardi anni ’40 una nuova forma più cerebrale di jazz, prevalentemente strumentale, cominciò ad avere molti appassionati ascoltatori. Gli esecutori erano, tra gli altri, il trombettista Dizzy Gillespie (1917-1993) ed il sassofonista Charlie Parker (1920-1955). Il trombettista Miles Davis (1926-1991) fece sperimentazioni con un’ampia gamma di influenze musicali, inclusa la musica classica, che incorporò in composizioni come “Sketches from Spain”.
ROCK AND ROLL E COUNTRY
All’inizio degli anni ’50, tuttavia, il jazz aveva perso il favore di un uditorio di massa. Una nuova musica popolare, il rock and roll, nacque da uno stile nero noto come “Rhythm and Blues”: canzoni con forti basi ritmiche e liriche audaci. Sebbene fosse scritto dai neri e per i neri, il rhythm and blues era apprezzato anche da adolescenti bianchi, per i quali ascoltarlo su stazioni radio per i neri la sera tardi divenne un piacere segreto. Per rendere la nuova musica più accettabile da un pubblico qualificato, cantanti e arrangiatori bianchi cominciarono ad occuparsi di canzoni rhythm and blues, cantandole con un ritmo attenuato e parole più pulite. Un esempio tipico è “Ain’t That a Shame”, un successo del 1955 arrangiato in versione rock dal suo compositore nero, Antoine “Fats” Domino, che ebbe un successo ancora maggiore nella forma della ballata interpretata da un cantante bianco, Pat Boone.
Acuti produttori di dischi dell’epoca si resero conto che un carismatico bianco che fosse riuscito a cantare con l’energia di un nero avrebbe avuto enorme successo. Una figura del genere apparve nella persona di Elvis Presley (1935-1977), che era cresciuto in povertà nel sud. Oltre ad una voce sensuale, Presley era piuttosto bello e aveva un modo di agitare le anche che fu ravvisato dagli adulti come osceno ma, invece, per gli adolescenti era naturale per il rock and roll. All’inizio anche Presley imitava i cantanti neri: uno dei suoi grandi successi fu “Hound Dog”, che era stata cantata dall’artista blues Big Mama Thornton. Presto, tuttavia, Presley cominciò a cantare materiale originale, fornito da una nuova generazione di scrittori di canzoni rock and roll.
Pochi anni dopo il suo debutto, il rock and roll era sulla buona strada per diventare la forma americana della musica popolare, specialmente tra i giovani. Rapidamente si diffuse in Gran Bretagna, dove i Beatles e i Rolling Stones iniziarono la loro carriera negli anni ’60. Nel frattempo, tuttavia, era apparsa, come sfida al rock and roll, la musica folk, basata soprattutto su ballate importate da Scozia, Inghilterra e Irlanda e tenuta in vita in “isole” quali le montagne del Nord Carolina e del West Virginia. Spesso accompagnandosi da soli con chitarre acustiche o banjo, cantanti come “The Weavers”, Joan Baez, Judy Collins, e “Peter, Paul, and Mary” offrirono un’alternativa di bassa tecnologia al rock and roll
Bob Dylan (1941-) aumentò il successo della musica folk scrivendo nuove straordinarie canzoni che esprimevano i problemi sociali contemporanei, specialmente la negazione dei diritti civili ai neri americani. La divisione tra i due campi – entusiasti del rock and roll e puristi del folk – raggiunse il culmine quando Dylan fu fischiato per “essere diventato elettrico” (poiché si accompagnava con una chitarra elettrica) al festival del folk a Newport, nel 1965. Lungi dallo scoraggiarsi, Dylan portò virtualmente l’intero movimento folk a divenire un misto di rock e folk. Questa mescolanza fu un evento spartiacque, creando uno stile che è ancor oggi valido. Il rock rimane musica pop prevalentemente in America – e in gran parte del resto del mondo – soprattutto perché può assimilare quasi ogni altro genere di musica, insieme con nuove varietà di spettacoli esotici, nella sua forte e ritmica cornice. Ogni volta che il rock mostra segni di minore creatività sembra ricevere una trasfusione, spesso da parte degli afroamericani, come è accaduto negli anni ’80 con il sorgere del rap: rime, parole spesso sguaiate, su toni minimalisti.
Come il folk, la country music fu portata negli Stati Uniti da Inghilterra, Scozia e Irlanda. La forma originale di country music, chiamata “old time” (vecchi tempi), e suonata da orchestrine di strumenti a corda (composte tipicamente da violino, banjo, chitarra e violoncello) può ancora essere ascoltata ai festival che si tengono ogni anno in Virginia, Nord Carolina e negli Stati del sud.
La country music moderna – canzoni originali su problemi contemporanei – si sviluppò negli anni ’20 in coincidenza con la migrazione di massa di contadini verso le grandi città in cerca di lavoro. La musica country tende ad avere un suono malinconico e molte canzoni classiche parlano di perdita o separazione – la casa perduta, genitori abbandonati, amori finiti. Come molte altre forme di musica popolare americana, la “country” si presta facilmente ad un ritmo rock and roll ed il “country rock” è stata infatti un’altra miscela di successo americana. Il country è secondo solo al rock per popolarità ed il cantante country Garth Brooks (1962-) ha venduto più album di qualsiasi altro singolo artista nella storia musicale americana, inclusi Elvis Presley e Michael Jackson.
LA CRITICA
Alcuni paesi si ribellano contro il moloch della cultura americana. I francesi periodicamente fanno campagne per liberare la loro lingua dagli invasivi termini anglosassoni e i canadesi hanno posto dei limiti alle pubblicazioni americane in Canada. Anche molti americani lamentano che la tendenza dei media sia quella di spingere i programmi verso il minimo comune denominatore. Eppure il denominatore comune non è necessariamente basso e l’abilità degli americani di fare intrattenimento che si rivolga virtualmente a tutta l’umanità non è un dono da poco. Nel suo libro “The Hollywood eye”, lo scrittore e produttore Jon Boorstin difende l’orientamento dei film verso i gusti del mercato di massa con termini che possono essere applicati ad altri rami della cultura popolare americana: “in maniera semplice, avida e democratica i cinematografari di Hollywood sanno bene che lo possono fare in entrambi i modi – possono anche fare un film di cui andare enormemente orgogliosi, che una gran quantità di persone vorrà vedere. Ciò significa accordare la sensibilità più raffinata con quella parte di se stessi che condividono con i loro genitori e parenti, con gli avvocati di Wall Street, i soci del Rotary delle piccole città, camerieri, studenti di ingegneria, poliziotti, pacifisti e i ragazzi dell’autolavaggio e forse anche studenti superiori e barboni e bigotti… la comune circolazione umana di gioia e angoscia e rabbia ed eccitazione e perdita e dolore e amore”.
FESTE AMERICANE
Gli americani hanno in comune con molti Paesi tre feste nazionali: la domenica di Pasqua, il giorno di Natale e il Capodanno.
Pasqua, che come è noto cade in una domenica di primavera variabile di anno in anno, celebra la credenza cristiana nella risurrezione di Gesù Cristo. Per i cristiani, Pasqua è un giorno di funzioni religiose e di riunioni di famiglia. Molti americani seguono la tradizione di colorare uova sode e regalare cestini di dolci. Il giorno dopo, il lunedì di Pasqua, il Presidente degli Stati Uniti tiene un’annuale caccia all’uovo di Pasqua per i bambini, alla Casa Bianca.
Il giorno di Natale, il 25 dicembre, è un’altra festa cristiana; ricorda la nascita di Gesù. Anche per molti americani non cristiani è divenuto tradizionale illuminare case e giardini, fare l’albero di Natale, e scambiarsi gli auguri per posta.
Capodanno, naturalmente, è il 1° gennaio. La celebrazione di questa festa inizia la sera prima, quando gli americani si riuniscono per augurarsi a vicenda un nuovo anno felice e prospero.
FESTE ESCLUSIVAMENTE AMERICANE
Altre otto feste sono esclusivamente americane (anche se alcune di loro hanno un corrispondente in altre nazioni). Per la maggior parte dei americani, due feste spiccano sulle altre quali occasioni per ricordare con orgoglio le loro origini: il Thanksgiving (il ringraziamento) ed il 4 luglio.
Il Thanksgiving Day è il quarto giovedì di novembre, ma molti americani si prendono il venerdì seguente di vacanza per allungare il fine settimana a quattro giorni, durante i quali possono percorrere anche grandi distanze per far visita alla famiglia e agli amici. La festa risale al 1621, l’anno dopo quello dell’arrivo dei Puritani nel Massachu
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