“Il business dell’America”, ha dichiarato nel 1925 il presidente Calvin Coolidge, “è il business”. Questa formulazione è più profonda di quanto possa in realtà apparire. Sostituite “preoccupazione” con “business” ed avrete una sintesi dello spirito imprenditoriale che sta dietro alla prosperità dell’America.
UNA NAZIONE DI AGRICOLTORI
L’agricoltura degli Stati Uniti è mutata profondamente durante gli ultimi due secoli. Ai tempi della rivoluzione americana (1775-83), il 95 per cento della popolazione era impiegata nelle coltivazioni. Oggi queste figure rappresentano meno del 2 per cento. Anche se gli individui o le loro famiglie possiedono l’85 per cento di tutte le aziende agricole degli Stati Uniti, sono in realtà proprietari soltanto del 64 per cento del terreno coltivabile. Il resto fa capo a grandi e piccole società, le “corporations”, e l’agricoltura è diventata una attività molto redditizia, tanto da far nascere il termine americano “agribusiness”. Nonostante tutti i cambiamenti, l’agricoltura rimane una costante nella vita americana e gli alimenti prodotti sono sicuri, abbondanti e disponibili.
Insediatasi da est ad ovest, l’agricoltura negli Stati Uniti ha raggiunto una ricchezza e una varietà ineguagliate nella maggior parte del mondo. Ciò è vero ancora oggi, grazie alla quantità di territorio e alla generosità della natura. Soltanto in una parte piuttosto piccola degli Stati Uniti occidentali la pioggia è così limitata da rendere il territorio desertico. Altrove, la quantità di pioggia varia da modesta ad abbondante ed i fiumi e l’acqua sotterranea garantiscono l’irrigazione dove vi è bisogno. Le grandi distese o i moderati pendii, particolarmente nel Midwest, forniscono le circostanze ideali per una agricoltura su larga scala.
L’agricoltura americana è segnata da una storia di successo. I consumatori americani pagano di meno i loro prodotti rispetto quelli di molti altri paesi industrializzati ed un terzo dei terreni agricoli negli Stati Uniti produce raccolti destinati all’esportazione. Nel 1995 le esportazioni agricole sono state quasi il doppio delle importazioni.
Ma il successo dell’agricoltura ha comportato un prezzo. Gli ambientalisti asseriscono che i coltivatori americani hanno danneggiato l’ambiente tramite l’uso eccessivo dei fertilizzanti e dei prodotti chimici destinati a combattere le erbacce ed i parassiti. I prodotti chimici tossici usati dalle aziende agricole sono riusciti a contaminare occasionalmente l’acqua, il cibo e l’aria, anche se i funzionari pubblici, sia a livello federale che statale, vigilano per proteggere queste risorse.
Nel frattempo, gli scienziati dei centri di ricerca americani cercano delle soluzioni di lungo termine. Impiegando tecniche innovatrici come le biotecnologie, sperano di sviluppare raccolti che crescano velocemente e resistano ai parassiti senza l’uso di prodotti chimici.
LA LAVORAZIONE “IN SERIE”
Quando Henry Ford, imprenditore nel settore automobilistico, ha pubblicato la sua autobiografia “La mia vita e il lavoro”, nel 1922, ha usato i titoli dei capitoli per porre una serie di questioni: “Quanto a buon mercato possono essere prodotte le cose?”, “Denaro: padrone o servo?”, “Perché essere poveri?”.
Queste sono le stesse domande che hanno affascinato le generazioni del business americano e dei vertici industriali. Nello sforzo per trovare delle risposte, il mondo degli affari ha cercato di produrre e distribuire più merci ma impiegando meno soldi e con un profitto maggiore.
Verso la fine del diciottesimo secolo, i produttori americani hanno adottato il sistema della fabbrica, che ha riunito insieme molti operai in un unico posto. A questo è stato aggiunto qualche cosa di nuovo, “il sistema americano” della lavorazione in serie, che nacque nell’industria delle armi intorno al 1800. Il nuovo metodo ha usato la microingegneria per trasformare la manifattura nel montaggio delle parti intercambiabili. Ciò, a sua volta, ha permesso che il prodotto finale fosse realizzato in diverse fasi, con ciascun operaio specializzato in una operazione differente.
La costruzione delle ferrovie, iniziata nel 1830, ha contrassegnato l’inizio di nuova era per gli Stati Uniti. Le costruzioni ferroviarie hanno visto il loro culmine dopo 1862, quando il Congresso ha destinato le proprietà demaniali per realizzare la prima ferrovia transcontinentale. Le ferrovie hanno collegato le regioni più remote del Paese al primo mercato transcontinentale del mondo ed hanno facilitato l’industrializzazione. La costruzione della ferrovia ha generato inoltre una domanda di carbone, di ferro e di acciaio, tanto che le industrie pesanti si sono espanse velocemente dopo la guerra civile.
UN’ECONOMIA POST-INDUSTRIALE
E’ stata una fortuna per l’America essere risparmiata dalla devastazione sofferta da altre nazioni durante le due guerre mondiali del ventesimo secolo. Alla fine della seconda guerra mondiale, nel 1945, gli Stati Uniti hanno registrato la capacità produttiva più grande del mondo e le parole “Made in USA” erano una garanzia di alta qualità.
Il ventesimo secolo ha visto l’aumento ed il declino di diverse industrie negli Stati Uniti. L’industria dell’auto, a lungo un pilastro dell’economia americana, ha combattuto la sfida della concorrenza straniera. L’industria dell’abbigliamento ha perduto terreno di fronte alla concorrenza dei Paesi in cui il lavoro è meno costoso. Ma altre industrie manifatturiere sono comparse e si sono sviluppate, tra cui il settore aeronautico, quello dei telefoni cellulari, dei microchips, dei satelliti spaziali, dei forni a microonde e dei computer ad alta velocità.
Molte delle industrie attualmente in crescita tendono ad essere fortemente automatizzate, tanto da aver bisogno di pochi operai rispetto le industrie tradizionali. Mentre le industrie dell’alta tecnologia hanno registrato successi, a differenza del declino delle industrie più tradizionali, la percentuale di operai americani impiegati nel settore manifatturiero è crollato. Il terziario ora domina l’economia, ed alcuni osservatori hanno denominato l’America una società “post-industriale”. Vendendo un servizio piuttosto che realizzando un prodotto, questo ambito industriale include l’intrattenimento, hotel e ristoranti, comunicazioni e formazione, gestione aziendale e amministrazione finanziaria.
Anche se vi sono stati periodi nella storia in cui gli Stati Uniti hanno perseguito una politica di isolazionismo, negli affari generalmente si è riscontrato un forte internazionalismo. La presenza del business americano ha determinato una risposta eterogenea nel resto del mondo. Le popolazioni di alcuni Paesi hanno avvertito una influenza americana nelle loro culture; altri hanno accusato le ditte americane di pressioni sui governi stranieri legate agli interessi politici ed economici degli Stati Uniti piuttosto che agli interessi locali. D’altra parte, molti stranieri accolgono favorevolmente i prodotti americani, e i relativi investimenti, come fattore di miglioramento del proprio standard di vita.
Iniettando nuovo capitale in altre economie, gli investitori americani possono generare forze economiche impossibili da quantificare. Alcuni americani sono preoccupati che investendo all’estero, il business americano favorisca dei futuri competitori. Notando ad esempio come le politiche del governo degli Stati Uniti abbiano permesso la rinascita economica del Giappone dopo la seconda guerra mondiale. Le società americane hanno fornito la tecnologia ed hanno messo a disposizione gli esperti per insegnare ai giapponesi processi come il controllo della qualità; strumenti che i giapponesi, da allora, hanno trasferito alle loro imprese. La ratifica dell’accordo nordamericano di libero scambio, nel 1993, ha tuttavia confermato la continuità dell’impegno americano verso il commercio internazionale.
IL SISTEMA ECONOMICO AMERICANO
Gli Stati Uniti hanno dichiarato l’indipendenza lo stesso anno, il 1776, in cui l’economista scozzese Adam Smith ha scritto “La ricchezza delle nazioni”, un saggio che ha avuto un’influenza enorme sullo sviluppo economico americano. Come molti altri pensatori, Smith credeva che in un sistema capitalista il popolo fosse naturalmente egoista e fosse mosso alla produzione e al commercio per ottenere benessere e potere. L’originalità di Smith era nel sostenere che tale attività è positiva perché conduce ad una crescita della produzione e migliora la concorrenza. Di conseguenza, le merci circolano di più e ai prezzi più bassi, vengono creati posti di lavoro e la ricchezza è diffusa. Benché la gente possa avvertire il desiderio di arricchirsi individualmente, Smith arguì che “una mano invisibile” ci guida per arricchire e migliorare tutta la società nel suo complesso.
La maggior parte dei americani credono che la crescita della loro nazione, che l’ha portata ad essere una grande potenza economica, non potrebbe verificarsi sotto alcun sistema tranne che il capitalismo, anche conosciuto come “libera impresa” secondo il pensiero di Adam Smith: il governo dovrebbe interferire nel commercio il meno possibile.
IL MERCATO AZIONARIO
All’inizio della storia americana, il popolo ha notato che si potevano guadagnare soldi prestandoli a coloro che avevano desiderio di iniziare o di espandere una attività imprenditoriale. Fino ad allora, i piccoli imprenditori americani prendevano in prestito il denaro di cui avevano bisogno solitamente dagli amici, dai parenti, o dalle banche. I più grandi imprenditori e commercianti, tuttavia, preferivano ottenere i contanti vendendo delle quote dell’impresa a soggetti indipendenti. Queste transazioni avvengono oggi attraverso una borsa valori, il mercato azionario.
Gli europei hanno costituito la prima borsa valori ad Anversa, in Belgio, nel 1531. Entrato negli Stati Uniti nel 1792, il mercato azionario si è sviluppato particolarmente alla borsa di New York, nell’area di Wall Street, il cuore finanziario della nazione.
Tranne i fine settimana e le festività, le borse sono attive tutti i giorni. Generalmente, i prezzi delle azioni sono piuttosto bassi e gli americani, perfino con mezzi economici modesti, comprano e vendono azioni nella speranza di realizzare profitti sotto forma di dividendi. Inoltre sperano che il prezzo delle azioni salga nel tempo, in modo che vendendole realizzeranno un ulteriore profitto. Non c’è garanzia, naturalmente, che il commercio delle azioni avrà buoni risultati. Infatti i dividendi possono essere bassi o inesistenti, ed il valore delle azioni come è noto può scendere.
I CAMBIAMENTI DEL SISTEMA
Adam Smith approverebbe sicuramente molti degli aspetti del business americano, ma non tutti. Come abbiamo visto, lo sviluppo industriale americano nel diciannovesimo secolo ha pagato un tributo a spese dei lavoratori. I proprietari delle fabbriche hanno spesso richiesto loro un orario prolungato a fronte di stipendi bassi, in posti di lavoro pericolosi e insalubri, assumendo bambini di famiglie povere. C’erano discriminazioni nelle assunzioni: i neri ed alcuni gruppi immigrati erano respinti o costretti a lavorare in circostanze molto sfavorevoli. Gli imprenditori hanno tratto massimo vantaggio dalla mancanza di controllo del governo, arricchendosi, formando monopoli, eliminando la concorrenza, fissando prezzi elevati per i prodotti e vendendo merci scadenti.
In risposta a questi illeciti e con la pressione dei sindacati e del movimento progressista, alla fine del 1900 gli americani hanno cominciato a rivedere la loro fede nel capitalismo incontrollato. Nel 1890 la legge antitrust Sherman ha preso le prime misure contro i monopoli. Durante la grande depressione, il presidente Roosevelt ed il Congresso hanno promulgato le leggi destinate a superare la crisi economica. Fra queste vi erano le leggi che regolano la cessione delle azioni, fissano norme per gli stipendi e gli orari di lavoro, e stabiliscono controlli più rigorosi sulla fabbricazione e sulla vendita di alimenti, di farmaci e di cosmetici.
L’insieme di queste leggi e regolamenti ha cambiato il capitalismo americano, per usare le parole di un imprenditore, “da un cavallo libero ad uno a cui sono state messe la sella e le briglie”.
I conservatori ritengono che ci sia troppa regolamentazione governativa del commercio. Sostengono che alcune delle regole che le ditte sono obbligate a seguire sono inutili e costose. In risposta a tali critiche, il governo ha provato a ridurre il numero di documenti richiesti alle imprese e a regolamentare gli obiettivi o gli standard in funzione del business da raggiungere.
Se a volte fastidiose, le norme e le regolamentazioni che governano gli affari negli Stati Uniti non sembrano però impedire agli americani ambiziosi di realizzare i loro sogni, e talvolta andare anche oltre. Come nel caso di Bill Gates. Gates ha fondato una azienda di software chiamata Microsoft nel 1975, quando aveva 20 anni. Appena due decenni dopo, Microsoft era divenuta la più grande compagnia di software del mondo, con 20.000 impiegati e un fatturato di più di due miliardi di dollari all’anno.
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