Biden è davvero ‘inevitabile’?
È sostanzialmente dall’8 aprile – giorno nel quale Bernie Sanders annunciò la ‘sospensione’ (non si parla mai ufficialmente in questo ambito di ritiro) della sua campagna elettorale – che i media, per larghissima parte come noto avversi ai repubblicani e a Trump specialmente, danno l’elezione di Joe Biden a novembre come ‘inevitabile’.
Usando ogni mezzo e soprattutto i sondaggi (ricordiamo che la committenza degli stessi ne condiziona l’esito e che non pochi degli istituti addetti sono di ‘area’).
È il concetto della ‘inevitabilità’ un’arma notevole.
Il problema ora, da questo punto di vista e per tutta l’opposizione (che non fa altro che il proprio mestiere cercando di defenestrare il Presidente, ci mancherebbe!) è di riuscire a mantenere sott’acqua la testa del tycoon e sotto sberla il Grand Old Party.
È la predetta ‘inevitabilità’ come il grande muro di una diga che non può essere minimamente danneggiato perché è dalla prima incrinatura che nasce la falla che porta alla rovina.
È di questi giorni però una allarmante (per l’Asinello) rilevazione di Scott Rasmussen – nel 2016, affidabile – che dice che in poco tempo Trump avrebbe ridotto di sei punti (sarebbe a meno quattto con un margine d’errore tale da poter essere considerato poco sotto la pari) il distacco.
Se appena appena tale sondaggio venisse confermato anche solo parzialmente (sarà fatto di tutto per non renderlo troppo noto e diffuso), l’accadimento darebbe fiato al Presidente e ai suoi sostenitori.
Guardando attentamente poi ai risultati locali, negli Stati, delle indagini più recenti, si notano piccole inversioni di tendenza.
Tutto ciò può risultare solo un fuoco di paglia o conseguenza di errori di rilevazione, naturalmente.
Soffre e si preoccupa certamente chi è dato per spacciato.
Soffre e si preoccupa forse di più chi è dato prospettivamente come vincitore ‘a valanga’.
D’altronde, è impensabile affrontare simili cimenti – in palio la Casa Bianca – senza pagarne il prezzo!