La Fondazione Italia USA ha seguito tutta la campagna elettorale americana per le elezioni presidenziali del 2020 con i commenti esclusivi di Mauro della Porta Raffo, saggista e giornalista, presidente onorario della Fondazione Italia USA, uno dei più qualificati esperti a livello internazionale di storia politica degli Stati Uniti e elezioni presidenziali americane. Tra i suoi numerosi libri, “Obiettivo Casa Bianca. Come si elegge un presidente” (2002), “I signori della Casa Bianca” (2005), “Americana” (2011), “USA 1776/2016 – Dalla Dichiarazione di Indipendenza alla campagna elettorale del 2016” (2015), “Le Cinquantuno Americhe” (2019), “USA 2020, tracce storiche, politiche, istituzionali” (2020).

‘La maledizione dell’anno zero’

Eletto nel 1840, entrato in carica il 4 marzo 1841, il Presidente William Harrison pronunciò un lungo discorso di insediamento sotto la pioggia e a capo scoperto.

Prese la polmonite e morì il successivo 4 aprile.

La più breve Presidenza dell’intera storia USA.

Vittorioso una prima volta nel 1860, Abraham Lincoln, come tutti sanno, fu assassinato in un teatro il 15 aprile 1865 poco dopo il suo secondo insediamento.

Eletto nel 1880, James Garfield morì nel settembre del 1881 due mesi dopo essere stato ferito da un avvocato senza arte né parte.

Vincitore nel 1900 (per la seconda volta), William McKinley venne a morte per mano di un anarchico nel settembre del 1901.

1920, Warren Harding conquista White House.

Amatissimo e malgrado questo contestato, speculatore, femminiere, morì pressoché improvvisamente nell’agosto del 1923 a San Francisco.

Ed eccoci al 1940, anno della terza elezione di Franklin Delano Roosevelt.

Il Presidente del ‘New Deal’ morirà d’infarto più tardi, il

12 aprile 1945.

Nel 1960 vince la disfida elettorale un giovane di religione cattolica (caso unico), portatore di mille speranze e dell’idea di una ‘Nuova frontiera’.

Si chiama John Fitzgerald Kennedy e muore per mano di uno o più killer, come ognun sa, a Dallas il 22 novembre 1963.

Ronald Reagan – eletto nel 1980 – rischia seriamente la pelle quando uno squilibrato gli spara il 30 marzo 1981.

George Walker Bush, vittorioso la prima volta nel 2000, ha corso un pericolo di non poco conto allorquando un pretzel gli andò di traverso.

Evidentemente “la maledizione dell’anno zero” – così fu chiamata la ricordata concatenazione di eventi nefasti che ha riguardato i Presidenti William Harrison, Abraham Lincoln, James Garfield, William McKinley, Warren Harding, Franklin Delano Roosevelt e John Fitzgerald Kennedy, tutti eletti o confermati in un anno appunto con finale zero e deceduti in carica – è andata attenuandosi con Ronald Reagan e ancora più con George Walker Bush.

Ciononostante, occorre una certa dose di coraggio per candidarsi nel 2020, il prossimo appuntamento elettorale con tale terminale.

Ammesso (e non concesso) che i pretendenti a White House siano a conoscenza di questi inquietanti trascorsi.

Democratic Convention 2020

Il numero di delegati che i singoli Stati saranno chiamati ad eleggere in vista della Convention democratica del 2020 è stato fissato.

Saranno quattromilacinquantuno.

A questi si uniranno settecentosedici ‘superdelegati’ (settecentododici dei quali con diritto di voto) scelti dalla leadership del partito indipendentemente dal risultato delle primarie e dei caucus.

Kamala Harris in corsa

Una discesa in campo decisamente prevedibile quella per la nomination democratica della Senatrice della California Kamala Harris.

Nera, già ministro nel suo Stato, giudice, vanta un curriculum di tutto rispetto.

È peraltro già la seconda donna (dopo Elizabeth Warren) in corsa e si colloca politicamente in un’area politico ideologica che alla fine risulterà particolarmente affollata.

‘Dreamer’

Vengono denominate ‘dreamer’ le persone entrate illegalmente negli Stati Uniti da bambini.

Si discute a loro riguardo quanto alla concessione o meno della cittadinanza.

Oggi, Donald Trump, cercando di superare l’impasse conseguente allo shutdown, ha proposto ai democratici “maggiori protezioni” ai suddetti in cambio dei finanziamenti per il famoso muro messicano.

Niente da fare.

Nancy Pelosi ha detto subito di no.

20 gennaio: USA, tra due anni, il giuramento

Esattamente tra due anni, il 20 gennaio 2021, alle ore 12.00 di Washington, il Presidente eletto degli Stati Uniti d’America giurerà nelle mani del ‘Chief’ della Corte Suprema ed entrerà in carica.

È dal 1937, anno seguente la seconda elezione di Franklin Delano Roosevelt, che l’insediamento è fissato appunto al 20 del primo mese dell’anno successivo alle votazioni.

Nelle precedenti circostanze – escluso il primo giuramento di George Washington che recitò solennemente la formula di rito il 30 aprile 1789 – la data fatidica era il 4 di marzo.

Si decise di comprimere i termini tra elezione e insediamento per evitare un troppo lungo periodo nel quale – salvo rielezione dell’uscente – Presidente in carica e Presidente eletto coesistessero.

L’intervallo di tempo è del tutto coerente, peraltro, con la necessità di consentire – quando sia il caso – il trapasso dei poteri non solo da un Capo dello Stato all’altro ma anche tra due Gabinetti e due Staff differenti praticamente in toto.

Tappetini da preghiera

Ad ulteriore conferma delle ragioni che lo portano a sostenere la costruzione del muro sulla frontiera messicana, Donald Trump ha rilanciato la notizia data da un quotidiano secondo la quale in Arizona sono stati trovati i resti di tappetini da preghiera in uso ovviamente tra i mussulmani.

Mussulmani, quindi, che avrebbero a loro volta attraversato il limite territoriale meridionale USA.

Evidente l’allarme che tale notizia suscita ripensando anche solo all’11 settembre.

Al proposito può essere utile ricordare la ragione principale della mancata espansione nel continente americano dell’Islam.

Fatto è che la Corona spagnola nel contratto con il quale concedeva ai commercianti di schiavi di portarli in America (contratto denominato ‘asiento’), tra le clausole inderogabili, inseriva invariabilmente quella che vietava la commercializzazione di neri di religione appunto mussulmana.

Per averne subito tanto a lungo la dominazione, gli spagnoli ben conoscevano (e volevano evitare) cosa significasse vivere a contatto con i seguaci di Maometto.

Impeachment

Sarà bene tagliare la testa al toro.

Per quanto si agitino i democratici e spingano i media, Donald Trump non potrà essere defenestrato portando a termine il procedimento d’Impeachment tanto e ad ogni pie’ sospinto invocato.

Certo, volendo, Nancy Pelosi e colleghi Rappresentanti dell’asinello, in maggioranza alla Camera, possono metterlo sotto inchiesta, in stato d’accusa, ma, spettando dipoi il giudizio finale al Senato, il tycoon non correrà rischio alcuno.

Prevede, difatti, in merito, la normativa che sia la Camera Alta a decidere e che la decadenza debba essere dichiarata dai due terzi dei laticlavi presenti.

Ora, essendo cinquantatre i Senatori dell’elefantino (e cento gli scranni), quando mai l’impeachment potrà essere votato da una cotale qualificata maggioranza?

Stato dell’Unione

In programma il prossimo 29 gennaio il Discorso sullo Stato dell’Unione che Donald Trump è chiamato a pronunciare.

Ed ecco che a ‘shutdown’ in corso, la Speaker democratica della Camera lo invita a tenerlo non in sede istituzionale ma dalla Stanza Ovale o addirittura per iscritto.

Lo addita quale unico e dai Rappresentanti democratici non gradito responsabile del blocco federale.

Dimentica che del contrasto la Camera che lei presiede è corresponsabile.

 

Il Discorso sullo stato dell’Unione in forma scritta?

E così, in ragione dello ‘shutdown’ in corso (e dovesse continuare fino al 29 gennaio), la Speaker democratica della Camera Nancy Pelosi fa sapere al Presidente che, vista la scarsità del personale di servizio e degli addetti alla sicurezza, sarebbe addirittura opportuno che la Casa Bianca inviasse il Discorso sullo stato dell’Unione in forma scritta non pronunciandolo quindi davanti al membri del Congresso e agli altri usuali ufficiali (ovviamente, i finali riceventi sono i cittadini tutti) destinatari.

Nel caso, si tratterebbe di un ritorno al passato, dato che per lunghissimo tempo – non consentendo i mezzi tecnici di fare altrimenti e di diffonderne i contenuti al popolo – in questo modo si faceva.

 

Dimissioni!

Il Washington Post, ovviamente.

Una edizione perfettamente imitata, fasulla, del celebre quotidiano, quello che causò con le sue inchieste la caduta di Richard Nixon.

E in prima pagina, strillato, “Umpresidented”.

Una notizia falsa, inventata.

Quando mai, difatti, Trump ha, avrebbe, pensato di dimettersi?

Una notizia che però non pochi tra i suoi avversari accoglierebbero con grande gioia!