Della necessità per Trump di riallacciare i rapporti con il Republican National Committee
Ho scritto “riallacciare” ma certamente “allacciare” sarebbe più appropriato.
Da subito, dal giorno nel quale Donald Trump ha annunciato di essere in corsa per ottenere la nomination GOP, l’establishment repubblicano lo ha guardato male (molto peggio, invero).
Lo ha considerato – e in effetti lo è – un maverick, un vitello (un torello) senza marchio e per questo senza padrone.
Non controllabile.
Con idee spesso divergenti rispetto a quelle del partito.
Lo avevano comunque accettato sicuri che la sua fosse una candidatura di poco conto, destinata al fallimento (e, d’altra parte, lo stesso pensavano praticamente tutti gli esperti e gli analisti).
Poi, il fuoco di paglia si è trasformato in un incendio e nessuno è stato in grado di spegnerlo.
Ok, molti sperano ancora di fermarlo a Cleveland nel caso, possibile, che non arrivi alla convention con la maggioranza dei delegati in tasca.
Ma con quali conseguenze?
Una spaccatura del partito, ovviamente.
La sua candidatura come indipendente, con buonissime probabilità.
La sconfitta, comunque (e per il vero prevedibile anche nel caso lo nominassero).
Addirittura, la nascita di un nuovo partito che svuoti i GOP già per conto loro messi male.
Ecco, alla fine, abbandonando il “muoia Sansone con tutti i Filistei”, al tycoon e alle alte sfere del Grand Old Party non resta che cercare un accordo purchessia.
Che “allacciare” i rapporti per cercare di battere la corazzata Hillary Clinton.
Più facile a dirsi che a farsi, trovare un minimo di intesa interna (quanti oggi si riconoscono in Ted Cruz con ogni probabilità l’8 novembre si guarderanno bene dal recarsi ai seggi preferendo, come fecero nel 2008 e nel 2012, non essendo McCain e poi Romney dei ‘loro’, la “traversata del deserto”).
Non impossibile, invece – se si compie il miracolo e se perfino l’anima dura e pura della destra religiosa lo accettasse sia pure obtorto collo – sconfiggere l’ex first lady soprattutto se un Trump sostenuto a dovere riesce a portare in cabina nella general election, come gli è occorso in qualche caucus o primaria, gli anti sistema che in lui (e in Bernie Sanders, nell’altro campo – si noti che per qualche verso i due opposti si toccano) credono.
Cleveland non è alle porte ma si avvicina.
L’8 novembre pare lontano, ma non lo è.