E adesso? Dopo la rinuncia di Joe Biden

Mille i problemi conseguenti. Mille le ipotesi. Pochissime le certezze. Forse, nessuna. Questo in sintesi il quadro conseguente il ritiro dalla corsa presidenziale di Joe Biden il 21 luglio 2024, giorno destinato a passare alla storia.
(Il quarantaseiesimo Capo dello Stato USA è il primo incumbent che si ritiri ad un punto tanto avanzato della campagna dato che sia Harry Truman che Lyndon Johnson, anch’essi democratici, l’hanno fatto rispettivamente nel 1952 e nel 1968 immediatamente dopo l’inizio delle Primarie).
A ben guardare, la più importante contestazione con implicazioni costituzionali messa in campo dai repubblicani prende il via dalle parole usate dallo stesso Biden nell’annunciare l’intenzione di uscire di scena.
Difatti – lo ha immediatamente eccepito Mike Johnson, lo Speaker della Camera dei Rappresentanti – come è possibile considerare idoneo a continuare ad esercitare il potere esecutivo un Capo dello Stato che si definisce “non adatto a candidarsi alla Presidenza”?
È sulla base di tale considerazione che non pochi ritengono – ove Biden non decidesse di dimettersi tagliando la testa al toro e consentendo alla Vicepresidente di succedergli immediatamente – necessario e non rinviabile l’avvio della complessa e difficile procedura prevista dal Venticinquesimo Emendamento entrato in vigore nel 1967 per la sostituzione dell’inquilino di White House.
Ciò detto (e non concesso senza combattere dai democratici), fra le altre considerazioni, per quanto ovviamente non esplicitata per evidenti ragioni elettorali, il fatto che alcuni dei più noti Governatori appartenenti al partito (quello della California Gavin Newsom e quella Michigan Gretchen Whitmer in particolare) si siano dichiarati indisponibili a contendere alla Vicepresidente Kamala Harris – a questo ruolo avviata, designata da Biden, dall’alto pertanto – la Nomination nella Convention in programma a Chicago dal 19 agosto, indica che invero ritengono molto difficile battere Donald Trump a novembre.
Ciò ancora detto, la corsa della Harris – una avversaria non prevista da Donald Trump la quale pone comunque qualche diverso problema – non pare per il momento raccogliere tutti i necessari consensi (della qual cosa è consapevole avendo dichiarato che intende lottare per arrivare all’investitura) perché, con riferimento alle personalità di spicco del partito, al momento, mentre i Clinton l’hanno esplicitamente adottata, altrettanto non hanno fatto, per dire, Nancy Pelosi e lo stesso Barack Obama.
E occorrerà verificare, cosa fondamentale, se i grandi finanziatori riapriranno i rubinetti da qualche tempo, in attesa degli eventi, chiusi.
Quanto agli attacchi degli avversari, ecco ad aprire le danze le parole che le ha dedicato il Running Mate repubblicano J. D. Vance: “Joe Biden è stato il peggior presidente della mia vita e Kamala Harris è stata lì con lui in ogni fase del suo cammino.
Negli ultimi quattro anni ha co-firmato le politiche di Biden sui confini aperti e sulle truffaldine politiche green che hanno fatto lievitare il costo degli alloggi e dei generi alimentari.
Lei è responsabile di tutti questi fallimenti e ha mentito per quasi quattro anni sulla capacità mentale di Biden, accollando alla nazione un presidente che non può svolgere il suo compito”.
Lasciando a successivi interventi ulteriori indispensabili approfondimenti, da osservatore neutrale, mi preoccupa grandemente il possibile fallimento della candidatura Harris perché sarebbe la seconda volta (come non ricordare Hillary Clinton?) che una Signora in gara per il massimo scranno viene respinta.
Al fine di evitare che questo accada, grandemente influirebbe la persona del candidato alla Vicepresidenza a lei nell’eventualità affiancato.
Difficile davvero, ma naturalmente non impossibile, calibrare un ticket altrettanto intelligente quanto è stato quello Biden/Harris che proponeva in primo piano un uomo bianco cattolico al quale faceva scorta una donna di razza mista a rappresentare le minoranze.
A chiudere momentaneamente, una constatazione per così dire numerica: l’eletto sarà comunque il quarantasettesimo Presidente, cosa che non sarebbe successa se un Joe Biden in corsa fosse stato confermato.

22 luglio 2024