Ha fondamento l’odierno ricorrente richiamo al 1968?
Non pochi degli elementi che la attuale situazione politica e sociale fornisce farebbero pensare ad una sostanziale ripetizione del 1968, elettoralmente parlando.
Infine, quindi, ad una affermazione della (allora così definita) ‘maggioranza silenziosa’, ovviamente composta da quanti, per reazione, votarono il risorto (già sconfitto nel 1960 da John Kennedy e addirittura battuto nel successivo tentativo di arrivare al Governatorato della California) Richard Nixon ed oggi confermerebbero Donald Trump.
Molte però, e sostanziali, le differenze.
In primo luogo – mai, invero, le situazioni sono identiche, folle ritenerlo! – nel 1968 gli Stati Uniti erano totalmente coinvolti nel drammatico conflitto vietnamita, con tutto quello che in termini di distanze e contrapposizioni ciò comportava.
In secondo luogo, Lyndon Johnson – il Presidente all’epoca in carica – dopo un inizio di campagna elettorale dubitante e nei risultati incerto, aveva annunciato che non avrebbe corso per un nuovo mandato.
Poi, il candidato democratico – scelto di ripiego essendo stato assassinato Robert Kennedy e avendo perso quota il radicale Eugene McCarthy – era Hubert Humphrey, il Vice di Johnson assolutamente allineato quanto alle posizioni dello stesso sul Vietnam.
E, non trascurabile – anzi! – era in corsa allora un ‘terzo incomodo’ (definiamolo così) di grande peso in particolare negli Stati del Sud conservatore: George Wallace, vessillifero del Segregazionismo e – lo si verificò – capace di primeggiare in cinque ambiti e conquistare la bellezza di quarantasei Grandi Elettori, cosa mai più accaduta.
Tutto ciò detto, resterebbe comunque una certa aria ‘sessantottina’ (da questo specifico punto di vista guardando e non certamente con riferimento al mitico e mitizzato ‘Sessantotto’).
Dobbiamo cederle?