Il programma di Donald Trump, la sua rivoluzione
La tanto attesa convention repubblicana in programma a Cleveland si è chiusa con il discorso di accettazione della nomination dell’adesso candidato ufficiale GOP Donald Trump.
La kermesse non ha affatto deluso.
Tra gaffe, discorsi più o meno buoni, mancati endorsement, supposti scandali ad arte gonfiati dai media, pecche ed errori vari (non pochi e qui denunciati), ha benissimo rappresentato il volto e le idee di un’America che agli snob della sinistra in specie europei e italiani non piace.
Insomma – dicono arricciando boccuccia e nasino questi signori – “ma che volgaroni questi repubblicani!”
E si meravigliano del fatto che il partito che – scrivono – fu di Lincoln, di Teddy Roosevelt e di Ronald Reagan esprima oggi un candidato come Donald Trump.
Dimenticano – i suddetti hanno tra l’altro poca memoria – di avere parlato pessimamente di Teddy per decenni e decenni e, soprattutto, di avere detto e scritto di Reagan tutto il male possibile.
Che coerenza!
Nel discorso di accettazione, ottimamente articolato per la bisogna, funzionale (occorre chiamare a raccolta, galvanizzare, indicare senza troppe complicazioni e ragionamenti mete realizzabili e/o utopiche, non certamente argomentare sottilmente), The Donald ha ripreso ed elencato i suoi oramai classici temi.
I prossimi mesi diranno se la cavalcata intrapresa, direi per scommessa, si concluderà a White House o se dovrà ripiegare.
Resta, l’impresa fin qui compiuta, qualcosa di inedito.
Ha preso possesso di un partito non suo che cerca di rivoluzionare, che in effetti ha già rivoluzionato.
Dovesse trionfare – è la domanda da farsi – il GOP potrebbe mai tornare ad essere quello di prima?