Quando il ‘terzo uomo’ fu decisivo
Democratici e repubblicani si affrontano direttamente dalla tornata elettorale del 1856.
In precedenza, i presidenti appartenevano a partiti oramai dimenticati: federalisti, democratico-repubblicani, whig mentre qualche voce in capitolo avevano avuto movimenti che pur non arrivando allo scranno presidenziale ci erano andati vicino: i free soil per esempio.
Ancora in quella fase, di sovente, i candidati seri erano più di due (nel 1824, il solo partito democratico-repubblicano ne aveva proposti quattro).
Dopo il predetto 1856 – tranne la parentesi 1860 (nell’occasione, i democratici si dividono e i pretendenti sono addirittura quattro perché al repubblicano Lincoln poi vincitore, ai due dem Douglas e Breckinridge, si aggiunge l’unionista Bell) – e fino al 1892, nessun terzo uomo di peso in corsa.
Nel citato 1892, il terzo incomodo e di un qualche successo è il populista James Weaver i cui ventidue grandi elettori, peraltro, non incidono sul risultato visto che Cleveland supera ampiamente la maggioranza assoluta allora richiesta.
Detto che tra il 1904 e il 1932 il partito socialista presenta sempre e con un qualche minimo successo un proprio esponente sia pure non influenzando l’esito delle contese, guardiamo con attenzione al 1912.
E’ difatti quello l’anno nel quale Theodore Roosevelt, non avendo ottenuto la nomination repubblicana, esce dal partito e travolge elettoralmente il presidente uscente Taft.
Purtroppo per l’elefantino, il democratico Wilson approfitta della situazione e vince.
Detto del relativo successo di Robert La Follette nel 1924 (tredici grandi elettori presentandosi come progressista, e lo era), occorre passare al 1948 per trovare un terzo uomo capace di strappare ai due contendenti usuali un pugno di Stati.
Si tratta del dixiecrats J. Strom Thurmond, uscito dai democratici, che conquista nel Sud trentotto voti elettorali, un ottimo risultato.
(Per la storia, nell’occasione, era in lizza anche l’ex vice di F.D. Roosevelt Henry Wallace il quale, però, malgrado le attese, restò con un pugno di mosche in mano).
E siamo al 1968.
Un altro Wallace, George, strappa coi democratici e si presenta come indipendente.
Quarantasei addirittura i suo grandi elettori ma nessuna influenza sulla maggioranza assoluta che Nixon raggiunge ampiamente.
Finora, si è parlato solo di terzi candidati capaci di vincere a novembre almeno in uno Stato.
Dal secondo Wallace in poi, nessuno sarà in grado di ripetere l’exploit.
Nemmeno il famoso Ross Perot, nel 1992 indipendente e nel 1996 a capo del Reform Party.
Di certo, Perot, nella prima occasione, fu però decisivo portando via a George Herbert Bush parte dell’elettorato e favorendo la vittoria di Clinton.
Nella contrastatissima elezione del 2000 – che vide il democratico Gore perdere di una corta incollatura dal George Walker Bush – a detta della maggioranza degli osservatori, la Florida, attribuita a Bush per poco più di cinquecento voti e decisiva, sarebbe assolutamente andata all’esponente dem se oltre novantasettemila elettori colà non si fossero espressi a favore del verde Ralph Nader, la cui presenza, dunque, sarebbe stata (fu) determinante.
Si può pertanto incidere sulle elezioni novembrine sia vincendo abbastanza Stati da non permettere a nessuno di raggiungere la maggioranza assoluta, sia magari conquistando il minimo di suffragi utili per far passare i grandi elettori di uno o più Stati dall’un campo a quello opposto.