‘Sequoyah’: la Corte Suprema e il Territorio ‘indiano’ in Oklahoma
Altra sentenza assolutamente progressista (storicamente e giuridicamente più che solida, non come – mi si permetta – altre, di una delle quali, inaccettabile, mi sono già qui occupato) ad opera della Corte Suprema presieduta dal ‘conservatore’ John Roberts che conta tra i suoi membri i due Giudici – contestati perché ritenuti ‘retrogradi’ – nominati da Donald Trump.
Ha deciso l’alto consesso di accettare i ricorsi presentati da cinque tribù pellerossa che chiedevano il riconoscimento del possesso di larga parte dello Stato dell’Oklahoma.
Infinite le memorie storiche al riguardo.
Innanzi tutto, quello straordinario personaggio che risponde al nome di Sequoyah.
Un Cherokee che fece qualcosa di veramente eccezionale e unico: ideò e compose un sillabario della lingua nativa, sillabario che consentì di leggere e scrivere in un idioma solo ed esclusivamente parlato.
In suo nome (oltre all’albero Sequoia) fu così – ‘Sequoyah’, ripeto – chiamato lo Stato che i pellerossa dell’Oklahoma avevano costituito e del quale chiesero l’annessione all’Unione nel 1905.
È a seguito del rifiuto quasi immediato da parte del Congresso americano che nacque due anni dopo l’Oklahoma – espressione che significa ‘persona rossa’ – del quale si parla.
(Non vanno ovviamente dimenticati la questione relativa al confinamento obbligato in quelle terre dei nativi ad opera della amministrazione Jackson – anzi – e le vicissitudini di fine Ottocento).
Molto altro da dire ovviamente.
Una sentenza questa che rende Giustizia (per una volta con l’iniziale maiuscola)!