Trentotto (per il vero esattamente 37, 577) i tre quarti degli Stati necessari per modificare la Costituzione
Di quando in quando, in tema di Casa Bianca, in particolare da parte democratica (caso vuole che nelle circostanze nelle quali il vincitore delle Presidenziali ha raccolto meno voti popolari – ma più Grandi Elettori – dello sconfitto quest’ultimo sia stato invariabilmente un appartenente al partito dell’asino), si parla di passare ad un sistema nel quale contino proprio e soltanto i suffragi ottenuti a livello federale e non Stato per Stato.
In buona sostanza, di arrivare ad una elezione ‘di primo grado’ (l’attuale è ‘di secondo grado’, visto che si conclude con il voto del Collegio formato dai predetti Grandi Elettori), popolare.
Alcuni Stati a maggioranza democratica vanno pensando a leggi statali che consentano di ‘aggiustare’ il numero dei Grandi Elettori ai quali hanno diritto appunto all’esito delle consultazioni nazionali prescindendo dal voto locale.
Dubbi infiniti di costituzionalità a tale riguardo.
Se la vedrà nel caso la Corte Suprema.
Quel che si può affermare con certezza è invece che un eventuale Emendamento costituzionale che modificasse nel senso indicato (elezione ‘di primo grado’ o diretta in vece di quella in atto) la normativa avrebbe praticamente nulle possibilità di essere approvato.
Difatti, per entrare in vigore, una modifica della Carta deve dapprima essere approvata dai due terzi dei Senatori e dei Rappresentanti (in alternativa, richiesta dai due terzi delle legislature degli Stati).
Approvazione infinitamente improbabile per il fatto che non è assolutamente nell’interesse dei repubblicani (vedremo tra poco il perché) e che il partito dell’asino non arriverà se non in una ipotesi chimerica ad avere una maggioranza di due terzi né al Congresso in entrambi i rami né nelle legislature locali.
Ora, per quale ragione una opposizione repubblicana affosserebbe comunque una Emendamento che fosse sgradito al GOP?
Perché la ratifica di una correzione alla Costruzione che pure avesse superato i predetti gravi inciampi dovrebbe avvenire ad opera dei ‘tre quarti degli Stati’.
Essendo cinquanta, da trentotto tra questi (37,577 per la precisione).
I ‘Red States’, cioè quelli dell’elefantino, sono sempre e comunque di gran lunga più numerosi di dodici.
Inoltre, perché gli Stati ‘minori’ – per popolazione (e alcuni sono anche democratici) – perché dovrebbero rinunciare al ‘peso’ elettorale che hanno adesso con tale sistema, annullandosi nel confuso mucchio indistinto che deriverebbe?
E infine, non sono gli Stati Uniti d’America una Federazione?
Perché togliere ai membri la dignità loro riconosciuta dalla Carta del 1787?