La Fondazione Italia USA ha seguito tutta la campagna elettorale americana per le elezioni presidenziali del 2020 con i commenti esclusivi di Mauro della Porta Raffo, saggista e giornalista, presidente onorario della Fondazione Italia USA, uno dei più qualificati esperti a livello internazionale di storia politica degli Stati Uniti e elezioni presidenziali americane. Tra i suoi numerosi libri, “Obiettivo Casa Bianca. Come si elegge un presidente” (2002), “I signori della Casa Bianca” (2005), “Americana” (2011), “USA 1776/2016 – Dalla Dichiarazione di Indipendenza alla campagna elettorale del 2016” (2015), “Le Cinquantuno Americhe” (2019), “USA 2020, tracce storiche, politiche, istituzionali” (2020).

Nancy Pelosi ancora Speaker

È deciso: Nancy Pelosi sarà confermata Speaker della Camera nella seduta che ad inizio 2021 (la nuova Legislatura parte invariabilmente dal 3 gennaio dell’anno seguente l’elezione, sia quella coincidente con le cosiddette Presidenziali, sia le Mid Term) ne aprirà i lavori.
È stata a suo tempo la prima Signora ad essere eletta.
Storicamente, la carica in questione conferisce a quanti la ricoprono una sorta di intangibilità elettorale.
Da quando, nelle Mid Term Elections 1862, nel mentre si combatteva, Galusha Grow aveva perso il seggio, solamente a seguito delle votazioni datate 1994 è accaduto altrettanto.
Fu nella circostanza a cadere Thomas Foley.
Nessun “non c’è due senza tre”, quindi!

‘Ronald Reagan’s election campaign’

Altri tempi, verrebbe da dire.
E si sbaglierebbe alla grande.
Perché, molto molto antecedentemente, praticamente da subito, ai contrasti politici e ideologici che naturalmente dividevano i candidati alla Executive Mansion, si sono aggiunti eccome gli attacchi personali e gli insulti.
E però a proposito di Ronald Reagan – è al grande Presidente repubblicano degli Ottanta che nella prima riga mi riferisco per contrasto avendo avuto a che fare in questo 2020 con una campagna elettorale da questo punto di vista indifendibile – nulla di tutto questo.
Entrato attivamente in politica – invero, ad Hollywood aveva operato in qualità di capo della ‘Screen Actors Guild’, l’Associazione che rappresenta sindacalmente attori, sceneggiatori, registi e maestranze varie – negli anni Sessanta, due volte Governatore della California, in tre circostanze impegnato nella ricerca della nomination repubblicana, in due vincente nella successiva campagna avversa al contendente democratico, impossibile trovare nei suoi discorsi, nei comizi, nei dibattiti televisivi, insulti o aggressioni alla persona.
Poteva è vero contare nella temperie su capacità personali decisamente fuori del comune, sulla esperienza attoriale, sull’ironia, in fondo a tutto su una salda educazione.
Ovviamente osannato dai conservatori, è stato contestato dagli avversari, nessuno dei quali ha a questo riguardo avuto modo di sentirsi ferito e lamentarsi.
Chapeau!

Bilancio democratici repubblicani alla Casa Bianca dal 1948

Harry Truman, democratico, 4 anni, dal 1949 al 1953.
Dwight Eisenhower, repubblicano, 8 anni, dal 1953 al 1961.
John Kennedy/Lyndon Johnson, democratici, 8 anni, dal 1961 al 1969.
Richard Nixon/Gerald Ford, repubblicani, 8 anni, dal 1969 al 1977.
Jimmy Carter, democratico, 4 anni, dal 1977 al 1981.
Ronald Reagan, repubblicano, 8 anni, dal 1981 al 1989.
George Herbert Bush, repubblicano, 4 anni, dal 1989 al 1993.
Bill Clinton, democratico, 8 anni, dal 1993 al 2001.
George Walker Bush, repubblicano, 8 anni, dal 2001 al 2009.
Barack Obama, democratico, 8 anni, dal 2009 al 2017.
Donald Trump, repubblicano, 4 anni, dal 2017 al 2021.
In totale, 6 Capi dello Stato democratici e 6 repubblicani (Gerald Ford non va in questa contabilità ricompreso essendo subentrato a seguito delle dimissioni di Nixon).
Nel complesso, 32 anni di permanenza a White House degli Asinelli e 40 degli Elefantini.
Nel periodo 1969/1993, un unico quadriennio democratico.
Dopo, dal 1993 al 2017, ciascuno degli eletti ha governato per due successivi mandati.
Donald Trump è il terzo Presidente che nel periodo viene sconfitto nei seggi nel tentativo di conferma.

Perché il Collegio Elettorale e perché si vota per il Presidente

A Philadelphia – scrisse James Wilson, uno dei firmatari della Costituzione – nel 1787, i Founding Fathers “non erano rimasti tanto perplessi su nessuna parte della Carta in fieri quanto sul metodo di scelta del Presidente”.
Scartata l’elezione popolare diretta (nella situazione, avrebbe nettamente favorito gli Stati del Nord e comunque non è che il popolo godesse allora di particolare considerazione proprio nel campo elettorale), si pensò che il Capo dello Stato potesse essere espresso da una votazione operata dal Congresso.
Fu però a tale riguardo eccepito che una decisione di tale fatta avrebbe violato il Principio di Separazione dei Poteri.
Fu proprio il citato James Wilson a trovare la soluzione.
Non poteva il Presidente essere conseguenza né del voto popolare né di quello dei Parlamentari?
Perché non pensare allora alla creazione di un organo alla bisogna appositamente istituito.
Avrebbe dovuto essere riservato a uomini rispettabili con mezzi e reputazione (definiti ‘Electors’ con l’iniziale maiuscola per distinguerli da quelli ‘comuni’ e dal sottoscritto ‘Grandi Elettori’).
Nacque in questo modo il Collegio Elettorale che li raccoglie ed ha avuto da subito (ed ha) il compito di ratificare l’esito delle cosiddette (che tali come visto non sono avendo la illustrata funzione) Presidenziali novembrine.
Il Collegio dal 1936 si riunisce per legge “il primo lunedì dopo il secondo mercoledì del mese di dicembre dell’anno elettorale” e pertanto, in questo 2020, lunedì 14 prossimo.

La secessione del Texas (?!)

Il Chairman del Republican Party of Texas Allen West è un uomo deciso.
La Corte Suprema ha bocciato (meglio, ha determinato di non potere intervenire in merito) il ricorso presentato dal Procuratore Generale di Austin (poi appoggiato da 17 altri Stati) che sostanzialmente chiedeva l’annullamento (o il congelamento) del voto novembrino in Georgia, Michigan, Pennsylvania e Wisconsin (62 i Grandi Elettori in ballo) e la seguente perdita della maggioranza assoluta nel Collegio dei democratici, e lui ha parlato nientemeno che di ‘secessione’.
Non avrebbe nella circostanza difatti, a suo modo di vedere, la Corte rispettato la Costituzione (!?!?)

La Corte Suprema respinge il ricorso del Texas. Trump KO

Come già sottolineato trattando del ricorso – ultima spes trumpiana – presentato dal Procuratore Generale del Texas (e successivamente appoggiato da 17 Stati) che chiedeva alla Corte Suprema di invalidare – per supposte e denunciate non dovute modifiche delle leggi locali relative al voto – la ratifica da parte della Georgia, del Michigan, della Pennsylvania e del Wisconsin di un totale di 62 loro Grandi Elettori, l’alto consesso ha facoltà di accettare o meno gli appelli proposti.
Nello specifico – proprio eccependo che essendo la materia in questione di competenza degli Stati e non federale (del resto, una argomentazione di impronta repubblicana) – ha detto che non intende entrare nel merito.
Per il vero, due Giudici hanno espresso qualche dissenso, infine non determinante, in linea formale.
È a questo punto del tutto sgombra la strada che porterà lunedì 14 dicembre il Collegio dei citati Grandi Elettori ad eleggere Joe Biden.

La lampadina ad incandescenza e il ‘Crollo di Wall Street’

Il 21 ottobre del 1929, il Presidente Herbert Hoover si trovava in Michigan, all’Edison Institute di Henry Ford.
Con lui, praticamente tutti i proprietari delle maggiori imprese del Paese.
Si celebrava il 50° anniversario della invenzione della lampadina ad incandescenza.
Il promotore dell’iniziativa, Edward Bernays, ne aveva inviato appunto una a tutti i direttori dei giornali nazionali.
Nel corso della serata, nel mentre tutte le compagnie elettriche avevano staccato la luce per un minuto, l’allora ottantaduenne Thomas Edison aveva compiuto nuovamente i gesti di mezzo secolo prima accendendo una lampadina come fosse la prima volta.
Quella stessa sera, fu trasmessa per radio la notizia che la Borsa di New York aveva cominciato a precipitare.
Era l’anticipazione del ‘Crollo’ che fece seguito il 29 di quel ‘benedetto’ stesso mese.

Biden e Harris in copertina per Time

Non molta la fantasia (d’altronde, quattro anni fa scelsero Donald Trump).
Salvo per il fatto che la ‘Persona dell’anno 2020’ sono due: Joe Biden e Kamala Harris.
È dal 1927 che la rivista Time dedica la copertina di dicembre al personaggio, all’ente o alla organizzazione che suo modo di vedere ha maggiormente caratterizzato gli ultimi dodici mesi.
I due hanno preceduto (esiste una classifica resa pubblica) il movimento Black Live Matter e l’epidemiologo Anthony Fauci.

La forza fisica necessaria per la Presidenza

Praticamente, oltre un anno e mezzo.
Questa, ai nostri giorni, la durata della campagna elettorale USA per i candidati impegnati nell’ambito dei due partiti maggiori a cercare di ottenere la nomination seguendo percorsi che prevedono confronti e dibattiti a iosa, Caucus, e Primarie per ogni dove, per infine battersi con l’avverso contendente.
(Minore, a tale fine, ovviamente ma non sempre, l’affanno del Presidente in carica in cerca di conferma).
Occorre quindi – cosa che non viene usualmente presa nella dovuta considerazione mentre è psicologicamente molto importante (chi voterebbe una persona in difficoltà fisiche?) – una salute di ferro per la bisogna.
Salute che deve poi permanere nei tempi successivi, nel mentre l’eletto esercita il potere esecutivo.
Storicamente – i non gravi problemi affrontati e risolti da Dwight Eisenhower a parte – quanto possa ‘pesare’ governare si è compiutamente visto quando Franklin Delano Roosevelt ottenne il quarto mandato.
(Non per altro, si pervenne poi nel 1951 alla approvazione dell’Emendamento, il XXII, che impedisce una terza elezione).
Entrato nella circostanza in carica il 20 gennaio 1945, affaticato, debole, probabilmente febbricitante, Franklin Delano pronunciò un breve discorso.
Due giorni dopo, doveva partire per partecipare alla Conferenza di Jalta.
Arrivato in treno a Newport News, Virginia, si imbarcò su un incrociatore pesante opportunamente attrezzato di rampe per la sua sedia a rotelle.
Il viaggio per Malta – 8000 i chilometri – durò 11 giorni.
Dall’isola mediterranea, un successivo e solitario volo (Churchill era su un differente aereo) di 7 ore per arrivare in Crimea ed incontrare Stalin.
Ufficialmente, dal 4 febbraio la Conferenza.
Molto discussi – esaltati quanto criticati – dagli storici i suoi comportamenti e i risultati.
Tornato negli USA, il primo marzo riferì al Congresso.
Ancora più magro e pallido, parlava da seduto incapace di reggersi in piedi.
Tremava e biascicava.
Fu il seguente 12 aprile 1945 che a Warm Spring collassò, per morire alle 15:35 a causa di una emorragia cerebrale.
4422 i giorni trascorsi alla Casa Bianca.
Troppi da ogni punto di vista e pertanto anche fisicamente.
Non era d’altra parte stato George Washington rifiutando nel 1796 una terza investitura a dire che nessuno poteva pensare di poter sostenere un siffatto peso per più di 8 anni?

Il problema Senato in generale e georgiano in specie

Lo sappiamo bene.
Il trascorso 3 novembre erano in palio 35 seggi senatoriali.
Ai 33 in scadenza naturale, avendo i titolari completato il mandato, se ne aggiungevano – a causa l’uno del decesso di John McCain e l’altro di dimissioni per malattia – 2 in mano comunque rep.
Dei 33 suddetti, ventuno i repubblicani (fra l’altro, come raramente accade, 2 dello stesso Stato, georgiani) e 12 i democratici.
La qual cosa significava che il rischio maggiore di sconfitta partitica era del Grand Old Party.
La Legislatura in corso (che decade il 3 gennaio a venire) vede sedere al consesso 53 Laticlavi dell’Elefante, 45 dell’Asino e 2 indipendenti (uno è Bernie Sanders) che riferiscono però al Caucus del partito di Joe Biden.
Assegnati finora 33 dei 35, il totale raccolto (compresi ovviamente gli scranni non in gioco nella circostanza) dai repubblicani è 50.
48 (con i 2 indipendenti compresi) i dem.
Fatto è che, per un caso davvero particolare, la sopra citata Georgia non ha scelto e lo farà per i restanti 2 seggi il prossimo 5 gennaio con il ‘runoff’, ovvero un duplice ballottaggio.
Se almeno uno sarà appannaggio del GOP, l’amministrazione Biden avrà almeno fino alle Mid Term Elections del 2022 notevoli difficoltà visto che per la ratifica delle nomine necessariamente da compiere il consenso della maggioranza dei Senatori è indispensabile.
Basterebbe invece al partito democratico, prevalendo in tutte e due le votazioni nello Stato con capitale Atlanta, arrivare a propria volta a 50 seggi visto che, essendo dal 20 gennaio 2021 Vice Presidente Kamala Harris e presiedendo la Camera Alta per Costituzione, avendone in caso di parità facoltà di votare, potrebbe in concreto portare i democratici a condurre i giochi.
Importantissimo come si vede il confronto in uno Stato che usualmente è repubblicano (che Trump avrebbe però perso) e altrettanto usualmente preferisce Senatori GOP.
I sondaggi – mancano 25 giorni – danno però in vantaggio i democratici.
L’uno abbastanza nettamente.
L’altro di meno di un punto percentuale.
Lotta dura, come si vede!

Nota bene.
A) I Senatori – il cui mandato è di 6 anni – sono 2 per Stato e pertanto 100 (affermare come si fa che “negli USA sono 100” è un clamoroso errore.
Se un 51° Stato difatti entrasse nell’Unione diverrebbero 102 come del resto erano 96 prima dell’ingresso di Hawaii e Alaska e ancora meno in precedenza).
B) La votazione per un terzo ogni biennio è studiata per consentire di certo la scalata di un eventuale nuovo partito alla guida della Assemblea ma gradualmente.
C) Fino alla approvazione dell’Emendamento Costituzionale datato 1913 in materia, i Laticlavi erano eletti dai Legislativi statali.
Dalle votazioni seguenti, dal popolo.