Buon gusto? Etica? Ben poco hanno a che fare con una campagna elettorale

Guardando alle elezioni in generale ed oggi in specie alle Presidenziali americane laddove maggiore è l’evidenza, uno degli atteggiamenti più sbagliati, fuorvianti, è quello di giudicare eticamente i comportamenti e le parole dei candidati ed ipotizzare i conseguenti esiti sulla base del corrente e proprio buon gusto.
Di tutta evidenza, ed è a questo che infine porta la democrazia, il candidato in campagna elettorale deve puntare alla raccolta del massimo numero di voti e se, come ovviamente è visto il reale livello degli aventi diritto, per raccoglierli deve esprimersi fuori dalle righe, volgarmente, violentemente, lo fa e ne ha giovamento.
Esaminando in particolare l’azione in atto, già in precedenza messa in gioco, e le espressioni usate da Donald Trump, ridicolo criticarlo, come invariabilmente si fa, riferendosi ai citati etica e buon gusto.
Per di più, controproducente, perché le osservazioni di quanti poi verranno indicati agli elettori vicini come elitari e “puzzaalnaso”, motivandoli, li convinceranno di certo maggiormente.
Divertente (?!?!) che l’atteggiamento di condanna illustrato sia proprio dei democratici (in generale e partiticamente negli States) che così facendo dichiarano apertamente il disprezzo che provano per un certo tipo di elettorato, di persone quindi.
Il loro sostanziale rifiuto della democrazia.
Del resto, non è appunto parlando dei sostenitori di Trump che Hillary Clinton nel 2016 li definì “deplorables”, pertanto a suo modo di vedere indegni?

4 febbraio 2024

Spunta Robert Kennedy jr? 

Il sondaggio Quinnipiac University datato 31 gennaio del quale abbiamo parlato a proposito dello scarso sostegno che avrebbero i due maggiori candidati alla Presidenza ci dice anche che il supporto a Biden è 96 a 2 fra i democratici e 52 a 40 fra gli indipendenti mentre quello a Trump è 91 a 7 tra i repubblicani.
Guardando al genere, gli uomini sostengono Trump 53 a 43 e le donne sono per Biden 58 a 36.
Ove si mettano in gioco i candidati indipendenti e del Green Party, Biden ottiene il 39 per cento delle intenzioni di voto, Trump il 37, Robert Kennedy jr il 14, Cornel West il 3 e Jill Stein il 2.
Se il corpo elettorale fosse composto solo da indipendenti, Biden avrebbe il 35, Trump il 27, Kennedy il 24 (!), West e Stein il 5.

3 febbraio 2024

Presidenti e politici poliglotti prima di ‘costringere’ il mondo a parlare l’inglese 

Ai suoi tempi, Benjamin Franklin arrivò a parlare francese, tedesco (pubblicava un quotidiano in questa lingua), italiano, spagnolo e latino.
Pensava fosse indispensabile visto che l’inglese aveva un ruolo ‘ancillare’ rispetto alle altre lingue.
Il francese era (e resterà fino al 1932) il punto fermo del parlare ed intendersi fra diplomatici.
Tra gli scienziati, nelle conferenze, era usato quasi nel cento per cento dei casi.
Fu tra i Presidenti di inizio Novecento che l’idea di studiare altre lingue venne ripresa.
Così Teddy Roosevelt si impadronì del francese e del tedesco nonché parzialmente dell’italiano.
Woodrow Wilson conosceva bene il tedesco.
Herbert Hoover – che da giovane aveva cercato di impratichirsi nella lingua degli Osage – in privato parlava mandarino con la moglie.
È con la Seconda Guerra Mondiale che gli Americani, obbligati dalle alleanze e dal coinvolgimento su mille fronti ad operare dovunque, sulla scorta di quanto aveva detto al riguardo in un discorso ad Harvard nel 1943 Winston Churchill, compresero quanto fosse necessario in qualche modo ‘costringere’ il mondo intero a praticare l’inglese.

3 febbraio 2024

Sondaggio di Quinnipiac University del 31 gennaio su Joe Biden 

In generale, gli elettori giudicano negativamente Joe Biden (41 per cento i favorevoli contro il 55 contrari).
A proposito del suo operato sui seguenti singoli temi:
– Invasione russa dell’Ucraina, il 47 per cento approva e il 46 disapprova
– Economia, il 42 consente e il 55 giudica negativamente
– Politica estera, il 37 è favorevole e il 57 contrario
– Questione Israele/Hamas, il 34 è d’accordo e il 55 no
– Quanto al confine con il Messico, il 28 per cento approva mentre il 63 disapprova!

2 febbraio 2024

Pluralità di candidati alla Vicepresidenza: i record

Nel 1896 il candidato democratico alla Executive Mansion William Jennings Bryan fu scelto quale pretendente al massimo scranno anche dal Partito Populista.
È questa la sola occasione per quanto riguarda i due movimenti politici maggiori nella quale un ticket vide la stessa persona al primo posto e appunto due diverse al secondo.
(Per i Democratici correva Arthur Sewall e per i Populisti Thomas Watson).

Venendo a partiti decisamente meno significativi sul piano elettorale, da ricordare con riferimento al numero delle candidature alla Vicepresidenza l’avventura di Ralph Nader nel 1996.
Viene l’una volta celebre attivista nella circostanza ricordato quale esponente del Green Party ma in effetti non fu designato da quel partito a livello nazionale quanto localmente in una parte soltanto degli Stati (ventidue).
Orbene, nei diversi ticket fu affiancato da Anne Goeke in nove ambiti, Deborah Howes in Oregon, Muriel Tillinghast nello Stato di New York, Krista Paradise in Colorado, Madelyn Hoffman nel New Jersey, Bill Boteler nel Distretto di Columbia e Winona LaDuke in California e Texas.

Nell’uno e nell’altro caso, avessero Bryan e Nader vinto (non accadde), la carica vicaria sarebbe andata al candidato Vice che avesse raggiunto la maggioranza assoluta dei voti in sede di Collegio Elettorale (tra gli Electors con l’iniziale maiuscola per distinguerli da quelli comuni) e, ove questo non fosse risultato possibile, prevalso nei successivi ballottaggi al Senato.

2 febbraio 2024

Le Costituzioni statali in genere

Ovviamente, ciascuno dei cinquanta Stati aderenti all’Unione ha una propria Costituzione.
Il primo ad operare e statuire in questo senso (va qui ricordato che la stesura della Carta costituzionale USA ha luogo a Philadelphia nel 1787) fu la Virginia già nel luglio del 1776.
Molto precoce anche il New York la cui Carta fondamentale è datata 1777.
Peraltro – parecchie essendo nel tempo le modifiche e le riscritture delle due Costituzioni statali citate – il testo del Massachusetts del 1780 resta quello più antico tuttora in uso.
Naturale che questi primati appartengano a Stati fondatori e non a territori entrati a far parte dell’Unione con il trascorrere di decenni, cinquantenni e secoli.

Ciò detto, è interessante altresì sapere che la più lunga tra tutte è la Carta dell’Alabama (che è anche la maggiormente emendata).
Che la più recente – ratificata nel 1986 – appartiene al Rhode Island.
Che la più volte riscritta (nove, l’ultima nel 1983) è della Georgia.

Tutte regolano il governo locale, il legislativo, il giudiziario di competenza, i diritti civili, la milizia…
Tutte tranne quella del Nebraska (monocamera) prevedono un sistema bicamerale.

Va qui ricordato che il Vermont era da sei mesi una Repubblica indipendente quando adottò la sua prima Costituzione nel 1777.
Entrò a far parte dell’Unione nel 1791 e due anni dopo la riscrisse.
Solo il Texas fra tutti gli Stati annessi si trova nella medesima situazione del Vermont.
Repubblica resasi quell’anno indipendente dal Messico, nel 1836 adottò una Costituzione propria riscrivendola nel 1845, all’entrata negli States.

Quanto agli altri fondatori (Virginia, New York e Massachusetts già trattati)
– il Connecticut è considerato il ‘Constitution State’ per eccellenza visto che si diede un articolato (‘The Fundamental Orders’) addirittura nel 1638, quando era ovviamente una colonia inglese
– il Delaware istituì la sua nell’agosto del 1776
– la Georgia nel 1777
– il Maryland nel 1776
– il New Hampshire il 5 gennaio 1776, sei mesi prima della Dichiarazione di Indipendenza
– il New Jersey nel 1776 invece dopo la Dichiarazione
– altrettanto il North Carolina
– la Pennsylvania, antiche disposizioni coloniali a parte, anch’essa dopo la Dichiarazione
– il Rhode Island, pur risultando la prima tra le colonie a rifiutare la dipendenza legale dall’Inghilterra, non si dette Carta costituzionale se non nel 1842/43
– il South Carolina, ancora, nel 1776.

2 febbraio 2024

Perennial ‘Swing States’

Nel linguaggio politico americano, è definito ‘Swing State’ uno Stato che in una elezione può risultare, a seconda dei momenti e dei candidati, sia ‘Blue’ (il colore dei democratici) che ‘Red’ (quello dei repubblicani).
Per larga parte, gli Stati non si collocano in tale categoria dato che molti si esprimono costantemente (salvo ‘valanghe’ alla Johnson 1964, alla Nixon 1972 o alla Reagan 1984) per lo stesso partito.
Guardando comunque alla storia, FiveThirtyEight – un serio istituto analitico nel campo elettorale – ha indicato quelli che definisce ‘Perennial Swing States’ che sono:
Colorado
Florida
Iowa
Michigan
Minnesota
Nevada
New Hampshire
North Carolina
Ohio
Pennsylvania
Virginia
Wisconsin.
(Va qui detto che meraviglia l’inclusione del Minnesota che praticamente sempre – fu con il District of Columbia il solo a esprimersi nel 1984 per Walter Mondale – vota democratico).
Undici, pertanto, i ‘Perennial’ ai quali i partiti devono dare maggiore attenzione perché conquistandone nella maggior parte gli Elettori (‘Electors’, con l’iniziale maiuscola per distinguerli da quelli comuni) si vince White House!

1 febbraio 2024

Molti gli interrogativi 

La durata delle legislature?
Elezioni meno frequenti?
Mandati più lunghi?
Ineleggibilità di quanti abbiano già governato?
Poca democrazia?
Troppa democrazia?
Perché mai una persona, per il semplice fatto di avere raggiunto l’età prescritta, abbia diritto al voto?
Se non avesse ragione Jorge Luis Borges nel dire che la democrazia altro non sia che “una indebita estensione della statistica”?
E, trascorrendo dall’universo mondo agli USA, come mai i più grandi Presidenti americani (proprio da questo identificabili come tali ?) sono arrivati alla Executive Mansion malgrado il popolo fosse loro nei primi momenti elettorali, differentemente nei singoli casi, nelle urne contrario? (Thomas Jefferson, Abraham Lincoln, Teddy Roosevelt, Lyndon Johnson, nell’ordine temporale i dessi).

Secoli che di tutto questo si parla.
Invano.
Inutilmente.

Negli anni dai Trenta ai primi Cinquanta dell’Ottocento – al fine, all’inizio, in particolare (semplificazione estrema) di combattere la politica di Andrew Jackson – nacque, prosperò e declinò negli Stati Uniti un alternativo movimento politico, quello dei Whig.
Fra l’altro, sostenevano costoro che il mandato presidenziale dovesse essere uno soltanto.
Era ed è un ragionamento valido.
Il Presidente USA in verità governa liberamente per i diciotto mesi iniziali del suo primo quadriennio.
Poi, deve tenere conto delle a quel punto prossime Mid Term Elections il cui esito non può non preoccuparlo e comunque è importante per il partito d’appartenenza le cui sorti non possono certo essere trascurate dal massimo suo esponente.
Nel secondo biennio, appressandosi il possibile rinnovo dell’incarico, il condizionamento è via via costantemente maggiore.
(Ometto qui di indagare sul perché il dipoi raggiunto – nei due terzi dei casi – traguardo elettorale porti quasi sempre a secondi mandati a dir poco deludenti).
Orbene, i due Whig effettivamente eletti (William Harrison nel 1840 e Zachary Taylor nel 1848, fra l’altro due ex Generali) rispettarono appieno questa volontà politica morendo entrambi in carica e pertanto non riproponendosi agli elettori.
Un caso di coerenza assoluta!

1 febbario 2024

Il Presidente USA migliore. Il Presidente USA peggiore 

Infinite davvero – partendo dai più diversi punti vista ed usando criteri e ragionamenti i più vari – le classificazioni dei Presidenti americani. Infiniti I sondaggi in merito.
Abitualmente – a parte il fatto che dei più recenti si ha facilmente contezza e di larga parte dei più datati no e che quindi il Capo dello Stato in carica sia nella stragrande maggioranza (non Donald Trump, invero) dei casi ben collocato, a prescindere – i primi in graduatoria sono, in ordine temporale: George Washington, Thomas Jefferson, Abraham Lincoln, Franklin Delano Roosevelt, Theodore Roosevelt, John Kennedy, Ronald Reagan.
Tra gli ultimi – in modo decisamente criticabile perché restati in carica troppo poco tempo per essere valutati – i due Whig William Harrison e Zachary Taylor così come James Garfield, brillante politico al quale non fu dato modo di confermarsi tale.
Altresì, i Capi dello Stato tra il 1876 e il 1896 che non pochi tra i non addetti ai lavori (non gli storici) trovano confondibili, non bene identificabili.
Peggiore in assoluto a dire di quasi tutti il povero James Buchanan.
È proprio riferendosi al predecessore di Abraham Lincoln (al quale, passando le consegne disse: “Mi auguro che lei sia tanto contento di entrare alla Casa Bianca quanto io di andarmene!”) che il Presidente della Nuova Frontiera concluse che non trovava affatto giusto giudicarlo perché solo contestualizzando assolutamente (situazione storica, politica, economica, sociale, familiare, personale), cosa impossibile, sarebbe stato forse accettabile farlo.

Ho naturalmente le mie idee che mi portano a valutare come eccezionale il ‘creatore’ principe degli Stati Uniti James Madison, davvero molto per l’attenzione ai diritti civili Lyndon Johnson, per la politica estera e non solo Harry Truman, esclusivamente per i rapporti internazionali Richard Nixon
e per la indiscutibile e rara signorilità del tratto George Herbert Bush.

31 gennaio 2024

Nascita, affermazione e parziale declino delle Convention 

1831, a Baltimora, l’allora significativo Partito Antimassonico, si riunisce a congresso per designare il candidato alle presidenziali dell’anno seguente.
(Sarà l’ex Procuratore Generale William Wirt e conquisterà, primo ‘terzo’ i Delegati del Vermont).
Nasce così la Convention che, essendosi subito adeguati gli altri movimenti politici, rapidamente assume i caratteri della necessità.
(Da sottolineare il fatto che essendo tale istituto venuto in essere in precedenza, oggi, nell’articolato iter partitico in uso per individuare il candidato, si posizioni invece al termine della corsa, collocato dopo Caucus e Primarie, per quanto questo tipo di consultazioni popolari abbia visto la luce successivamente).
Decisamente per lunga pezza – regolamentato in modo che per arrivare all’investitura fosse necessario ottenere i due terzi dei voti del Delegati convenuti, cosa che dette luogo a vere e proprie contrastatissime maratone prima che si arrivasse in porto – le Convention in qualche modo politicamente dominarono.
Il declino ebbe inizio con la riunione congressuale del Partito Democratico a Philadelphia datata 1936 laddove e quando fu deciso che per ottenere la Nomination bastasse avere il sostegno della maggioranza assoluta dei Delegati, il cinquanta per cento più uno.
Meta naturalmente meno difficile da raggiungere addirittura in precedenza vincendo Caucus e Primarie e presentandosi alla riunione, sia pure non ufficialmente, già incoronati.
Cosa questa oramai da parecchio tempo abituale (le ultime Convention alle quali si è arrivati con incognite sono rispettivamente quella repubblicana del 1976 quando Gerald Ford respinse Ronald Reagan e la democratica del 1980 allorché Jimmy Carter prevalse su Ted Kennedy. Entrambi i nominati, per quanto incumbent, persero poi a novembre).
Benché non più decisiva e da questo punto di vista diminuita di importanza (si adotta peraltro la platform ovvero il programma), la riunione congressuale di cui si tratta resta il momento di maggiore richiamo – seguito dalle televisioni (1) e dai media tutti quasi ossessivamente – dell’iter intero, votazione novembrina seguente ovviamente esclusa.
Per la Storia concernente i due partiti maggiori e ricordando che i loro confronti diretti iniziano nel 1856, il Democratico – nato prima – terrà questa estate a Chicago la propria cinquantesima Convention mentre il Repubblicano – fondato nel 1854 – a Milwaukee la quarantatreesima.

(1) È nel 1948 che le da poco attive tv inaugurarono la trasmissione in diretta dei lavori congressuali.
Il film che meglio rappresenta i complessi meccanismi di una Convention resta ‘L’amaro sapore del potere’, di Franklin Schaffner, del 1964, sceneggiato dal grande Gore Vidal.

31 gennaio 2024