Haley ‘tradita’, tra virgolette, da Tim Scott

Tim Scott, Senatore nero repubblicano del South Carolina, è improvvisamente apparso al fianco di Donald Trump per dichiarargli pubblicamente l’appoggio.
Si tratta di un endorsement di peso perché l’ex candidato alla Nomination del GOP da poco ritiratosi dalla corsa rappresenta alla Camera Alta proprio lo Stato del quale Nikki Haley è stata due volte Governatrice.
Stato che sarà chiamato a votare il prossimo 24 febbraio nel quale una sconfitta di grande portata della candidata di origini indiane avrebbe un significato estremamente negativo.
Piombo nelle ali di Nikki quello conseguente la dichiarazione di Scott.

20 gennaio 2024

Schermaglie Trump/Haley New Hampshire

In vista della Primaria del 23 gennaio Donald Trump si trova in una qualche difficoltà nell’attaccare a fondo, senza freni, Nikki Haley, la sola sfidante quanto alla Nomination repubblicana che le locali rilevazioni quanto alle intenzioni di voto danno relativamente vicina e comunque in crescita.
(Vedremo poi se davvero è così visto che in Iowa veniva considerata più di Ron DeSantis e gli è finita dietro).
Difficoltà che derivano dal fatto che quando sedeva alla Casa Bianca l’ha nominata rappresentante degli Stati Uniti all’ONU.
Che razza di scelta sarebbe stata la sua se davvero Haley fosse pessima?
Ecco che dovendosi all’incirca barcamenare, ieri, parlando a Concord, se n’è uscito in una espressione gergale che dice molto senza dire tutto.
“She is OK, but she is not presidential timber!”
Insomma, va bene ma per la Presidenza occorre ben altra stoffa.
Non è, ovviamente, che l’ex Governatrice e Ambasciatrice (che tutti o quasi ricordano allora positivamente in azione) stia a guardare.
Ha alzato a propria volta la guardia irrigidendosi e criticando più che in precedenza il forte rivale.
Uno solo, pare, l’argomento che li vede concordi.
Il tycoon dice che non la vede neppure come candidata Vice, con lui nel ticket GOP.
Lei afferma che non accetterebbe mai la proposta per il ruolo vicario.
Mosse elettorali: non rari (Franklin Delano Roosevelt/John Garner, Ronald Reagan/George Herbert Bush, perfino Barack Obama/Joe Biden per quanto questi fosse uscito presto dall’agone) infatti i casi nei quali proprio due candidati alla Nomination alla fine si mettono d’accordo e corrono insieme.
Come sempre, chi vivrà vedrà.

20 gennaio 2024

Tra un anno l’Insediamento del Presidente

È dal 1937, anno seguente la seconda elezione di Franklin Delano Roosevelt, che la cerimonia di Insediamento del Presidente degli Stati Uniti d’America è fissata al 20 gennaio successivo al novembre elettorale.
Mancano quindi, oggi 20 gennaio 2024, esattamente trecento sessantasei giorni (le elezioni hanno luogo nei bisestili) al momento nel quale il nuovo o confermato inquilino della Executive Mansion giurerà nelle mani del Chief della Corte Suprema.
Guardando ai trascorsi, il primo di George Washington a parte (del tutto anomalo, datato 30 aprile 1789), dal 1793 – la seconda chiamata alle urne per la bisogna ebbe luogo nel precedente 1792 – al 1933 la cerimonia era fissata al 4 marzo sempre dell’anno successivo a quello elettorale essendo il 4 marzo 1789 la data di entrata in vigore della Carta Costituzionale.
L’anticipo, dopo avere più volte constatato che la relativamente lunga (di all’incirca quattro mesi) coesistenza – quando si verificava il caso e l’incumbent non succedeva a se stesso – di due titolari del potere esecutivo (uno vicino al termine del mandato ma comunque in carica e l’altro eletto e pertanto con una qualche voce in capitolo) poteva causare difficoltà e incomprensioni.

20 gennaio 2024

Il New Hampshire è per Nikki Haley assolutamente cruciale

Perdere molto meglio (non le si chiede di vincere).
Senza tradire le attese.
Perché la deludente prova del 15 scorso in Iowa va fatta dimenticare subito.
Perché mancare due volte di seguito il limite percentuale che le assegnano i generosi sondaggi sarebbe più che grave.
Perché martedì 23 nel New Hampshire – dove può contare sul forte appoggio del Governatore Chris Sununu, sul voto dei ‘vedovi’ di Chris Christie che si è ritirato e, pare, sulla inconsistenza di Ron DeSantis – Nikki Haley avrebbe (ha?) la possibilità di superare bene il trenta per cento e di avvicinarsi a Donald Trump che sembra stavolta debba restare sotto i cinquanta.
Non le riuscisse, deludesse ancora – se stessa in primo luogo e conta eccome – gli indispensabili finanziatori continuerebbero a sostenerla?
Quasi impossibile.

19 gennaio 2024

Democratici versus Repubblicani in poche righe

Donald Trump è stato il diciassettesimo Presidente repubblicano eletto a partire dal 1856, anno del debutto elettorale a livello White House dell‘appena nato (da due anni) futuro Grand Old Party, ma il diciannovesimo in carica dato che vanno aggiunti i subentrati e – contrariamente a Theodore Roosevelt e Calvin Coolidge – non in seguito personalmente confermati nelle urne Chester Arthur, il quale al termine del mandato si ritirò, e Gerald Ford, sconfitto nel tentativo.
I democratici vincenti, sempre dopo il 1856 sono, Joe Biden incluso, dodici perché sia Harry Truman che Lyndon Johnson, subentrati, sono poi stati nelle successive votazioni confermati.
Ancora dalla pluricitata data, i repubblicani hanno governato per novantasei anni.
I democratici sessantotto essendo però in corso il quadriennio che li porterà ai settantadue.

(Venti gli anni governati dagli Asini – simbolo del partito oggi alla Casa Bianca questo generoso animale usato dai rivali per attaccare Andrew Jackson e da lui adottato mentre l’Elefante è l’immagine rappresentativa dei repubblicani – in precedenza confrontandosi in specie con i Whig che tra il 1828 e il 1852 li sconfissero due volte).

19 gennaio 2024

Apologo quanto ai Presidenti

“Franklin Delano Roosevelt dimostrò che la Presidenza può essere un mestiere da esercitarsi vita natural durante.
Harry Truman ha dimostrato che chiunque può fare il Presidente.
Dwight Eisenhower che in realtà non c’è bisogno di un Presidente.
John Kennedy che può essere pericoloso avere un Presidente!”

Apologo dei magnati americani dell’acciaio impegnati in un braccio di ferro con il vessillifero della ‘Nuova Frontiera’.

18 gennaio 2024

New Hampshire Primary, in vista del prossimo 23 gennaio

Le primarie del New Hampshire si svolgeranno martedì 23 gennaio, con orari che dipendono dal luogo di voto.
A differenza dell’Iowa e di altri Stati, che si basano su un sistema di Caucus relativamente complicato, gli elettori del New Hampshire voteranno come in qualsiasi altra votazione.
Per quanto riguarda i repubblicani, sono in palio ventidue delegati alla Convenzione nazionale, che saranno assegnati su base proporzionale.
Sebbene si tratti di una piccola parte dei milleduecentoquindici (1.215) delegati necessari per ottenere la nomination, lo Stato ha tradizionalmente svolto un ruolo di primo piano nel processo di nomina grazie alla sua posizione (il secondo a votare) nel calendario.
Per i democratici, trentatre delegati saranno inviati alla Convenzione nazionale dal New Hampshire, ma il loro voto non sarà vincolato dai risultati delle primarie dopo una disputa sulla tempistica del voto.
Ciò significa che le primarie del New Hampshire serviranno solo come barometro del sostegno ai democratici in corsa.
Il Partito Democratico nazionale ha spostato la sua prima competizione del 2024 in South Carolina, che è significativamente più diversificata rispetto alla popolazione bianca del New Hampshire (quasi il 90%), per riflettere meglio il partito.
Ma la legge dello Stato del New Hampshire impone di ospitare le prime primarie, e il governo statale controllato dai repubblicani ha rifiutato di apportare qualsiasi modifica legislativa alla data delle primarie.

I principali candidati repubblicani al voto saranno Trump, il governatore della Florida Ron DeSantis e l’ex ambasciatrice delle Nazioni Unite Nikki Haley. DeSantis e Haley si sono piazzati rispettivamente al secondo e terzo posto in Iowa.
I principali candidati democratici sono il rappresentante degli Stati Uniti Dean Phillips del Minnesota e la guru del self-help Marianne Williamson.
Il presidente Joe Biden è in corsa per la rielezione, ma non sarà sulla scheda elettorale a causa della disputa sulla data delle primarie.
Alcuni suoi sostenitori, tuttavia, hanno lanciato una campagna di scrittura (metodo ‘write-in’) a nome di Biden.

Secondo il sito di sondaggi e analisi FiveThirtyEight, Trump è in testa ai repubblicani in New Hampshire con il 43%.
Haley (ritenuta in ascesa come si dirà subito) è al secondo posto con il 30% di consensi e DeSantis è al terzo posto con circa il 6%.
Tuttavia, la gara potrebbe essere più serrata di quanto sembri.
L’ex governatore del New Jersey Chris Christie, un acerrimo critico di Trump che aveva fatto un’intensa campagna in New Hampshire, si è ritirato dalla corsa all’inizio di gennaio, un fatto che non si riflette nei sondaggi più recenti.
Si prevede che la maggior parte dei suoi sostenitori passerà a Haley.

Lo Stato nordorientale è noto per il suo marchio di repubblicanesimo relativamente moderato e libertario.
Inoltre, le primarie in New Hampshire sono ‘semi-aperte’, il che significa che gli elettori non iscritti ad alcun partito possono partecipare, il che può aiutare i candidati percepiti come centristi.

Biden sta vincendo in modo netto tra i democratici, anche se il fatto che i suoi sostenitori di Biden dovranno scriverne il nome sulla scheda elettorale aggiunge un elemento di incertezza.

18 gennaio 2024

Quando Donald Trump ‘debuttò’ da Oprah

‘The Oprah Winfrey Show’.
È il 25 aprile 1988.
Ospite “il magnate dell’immobiliare” Donald Trump.
È risentito in particolare con i Giapponesi.
“Vengono qui, ci vendono le loro macchine e i loro videoregistratori.
Massacrano le nostre aziende”, afferma.
Oprah nota che il suo è “un discorso da Presidente” e gli chiede “prenderebbe in considerazione l’idea di candidarsi?”
“Probabilmente no.
Ma sono stanco di vedere questo Paese che viene spennato!” è la risposta.
Trump viene da lontano.
Da parecchio lontano!

18 gennaio 2024

I Vice Presidenti, quanti hanno lasciato traccia?

Un grande film datato 1962. ‘Tempesta su Washington’ (‘Advise & Consent’), regia di Otto Preminger, ricavato da un romanzo di Allen Drury, sceneggiatura di Wendell Mayes, con Henry Fonda, Charles Laughton, Walter Pidgeon, Gene Tierney, Don Murray, Peter Lawford, Franchot Tone e Lew Ayres nel ruolo del Vice Presidente Hurley Hudson.
Quest’ultimo, personaggio debole e insicuro, sottomesso al cospetto dell’autoritario inquilino di White House e del leader di maggioranza, in qualche modo rispondente alla celebre frase che dice che essere Vice Presidente non è un reato ma lascia pensare che sia qualcosa di simile, nella scena finale, arrivata in Senato, dove sta presiedendo una seduta, la notizia della morte del titolare della carica esecutiva, quasi d’incanto, assume fisicamente e nel comportamento un del tutto diverso sembiante.
E’ in effetti il ruolo di Capo dello Stato che, guardando alla storia, spesse volte, conferisce l’autorevolezza e la capacità decisionale prima latitanti anche a persone ritenute di poco conto o insignificanti.
Penso, in proposito, soprattutto a Harry Truman, per lunghi anni manutengolo del boss del Missouri di quei tempi Tom Pendergast, ritenuto uno spento yesman e, una volta in carica a seguito della dipartita di Franklin Delano Roosevelt, capace di prendere decisioni importantissime e di ideare e portare a compimento politiche decisive.
(Non altrettanto, ovviamente, si potrebbe dire – per guardare a personalità invece già in origine volitive e che una volta al comando hanno bene operato – in specie per Theodore Roosevelt, assurto al rango a seguito dell’assassinio di William McKinley).
Dei quarantotto signori e finalmente (a prescindere dal partito di riferimento), della quarantanovesima Signora, succedutisi nel ruolo vicario non molti hanno lasciato traccia di sé.
Ove si faccia eccezione per i primi, allorquando il diverso sistema elettorale faceva in modo che il più votato tra i candidati diventasse Presidente ed il secondo Vice (tanto che, appunto piazzandosi al posto d’onore, come si dice, furono vicari John Adams e Thomas Jefferson, dipoi l’uno dopo l’altro in sella), memorabili in primo luogo quanti sono subentrati al titolare, per esito elettorale o altrimenti, arrivando pertanto ad esercitare l’alto incarico.
Nell’ordine:
Martin Van Buren, eletto dopo i due mandati di Andrew Jackson e vicario dello stesso nel secondo quadriennio;
John Tyler, il primo ad approdare a White House a seguito del decesso del titolare, nel caso William Harrison;
Millard Fillmore, succeduto mortis causa a Zachary Taylor;
Andrew Johnson, subentrato ad Abraham Lincoln dopo il suo assassinio e primo capo dello Stato USA sottoposto alla procedura di impeachment (se la cavò per il rotto della cuffia);
Chester Arthur, entrato in carica a seguito dell’uccisione di James Garfield;
Theodore Roosevelt, per il quale si veda sopra;
Calvin Coolidge, succeduto mortis causa a Warren Harding;
Harry Truman, per la cui avventura, ancora, si legga sopra;
Lyndon Johnson, successore dell’assassinato John Kennedy e quanto alla politica interna eccezionale;
Gerald Ford, subentrato dapprima a Spiro Agnew come vicario secondo il disposto di un Emendamento del 1967 al quale ricorse Richard Nixon dopo le dimissioni del citato e poi, quasi incredibilmente, alla Executive Mansion;
George Herbert Bush, vittorioso in proprio dopo gli otto anni trascorsi nelle vesti di secondo di Ronald Reagan.
Un caso a parte è quello concernente il citato Richard Nixon, arrivato alla Casa Bianca con le elezioni del 1968 e pertanto non con quelle del 1960, perse, successive ai suoi otto anni di vicariato con Dwight Eisenhower.
Scorrendo la lista, altri personaggi di rilievo, per differenti ragioni, tra i Vice sono:
Aaron Burr, sconfitto da Jefferson solo al ballottaggio e dopo protagonista di gesta poco gloriose compresa l’uccisione in duello dell’avversario politico Alexander Hamilton (un Vice Presidente in carica che uccide un ex ministro!);
John Breckinridge, il più giovane e successivamente uno dei due candidati democratici sconfitti da Lincoln nel 1860;
John Garner, già speaker della Camera che esercitò la funzione per i primi due mandati con F.D.Roosevelt;
Henry Wallace, vicario di F.D.Roosevelt nel terzo mandato e candidato indipendente seccamente sconfitto nel 1948;
Hubert Humphrey, secondo di Lyndon Johnson e invano in corsa personalmente nel 1968;
Il tristemente ricordato Spiro Agnew, primo vice di Nixon e costretto alle dimissioni per uno scandalo;
Walter Mondale, vicario di Jimmy Carter e distrutto come candidato da Reagan nel 1984;
Al Gore, per otto anni con Bill Clinton e sconfitto poi per un niente tra mille polemiche da George Walker Bush nel 2000.
Dick Cheney, autorevole secondo di George Walker Bush e personalmente mai tentato di ‘elevarsi’.
Ovviamente, l’attuale inquilino di White House Joe Biden, già Vice di Barack Obama.
Ancora più, Kamala Harris, la prima donna arrivata da Running Mate del predetto Biden alla carica Vicaria
Dimenticabili gli altri, non in assoluto naturalmente ma solo per la necessaria sinteticità.

17 gennaio 2024

Dopo l’Iowa i sondaggi relativi ai tre candidati per la Nomination repubblicana

Secondo FiveThirtyEight – serio istituto di sondaggi invero non soltanto politici – alla data del 16 gennaio, immediatamente dopo il Caucus dell’Iowa, i tre candidati del Grand Old Party rimasti in gara, a livello nazionale, ottengono le seguenti intenzioni di voto:
Donald Trump 63.1 per cento
Nikki Haley 11.9
Ron DeSantis 11.6.

Se il riferimento è alla Primaria del New Hampshire in calendario martedì 23, le cose cambiano decisamente:
Trump è al 43.5
Haley al 30.6
DeSantis al 5.4.

Ora, la rilevazione statale riportata può benissimo risultare inesatta al momento del voto. Questo perché vincere fa bene (e Trump ha stravinto a Des Moines e dintorni).
Perché invece tradire le attese fa male (e Haley era data per seconda e con quattro punti in più di quelli effettivamente ricevuti).
Perché infine DeSantis che sembrava avviato ad un ruolo marginale ha potuto prendere una grossa boccata d’aria.
Seguiremo molto da vicino i prossimi sondaggi relativi allo Stato con capitale Concord.

17 gennaio 2024