Gli sconfitti: Barry Goldwater, battuto per quanto John Wayne lo appoggiasse
1997, prodotta per la televisione esce una pellicola straordinaria.
Sceneggiata magistralmente da Martyn Burke e diretta da Joe Dante, si intitola ‘La seconda guerra civile americana’.
In una scena, gli inviati di un potente network tv, in attesa degli eventi, guardano un film di guerra.
Sullo schermo, John Wayne fa strage di nemici e uno dei due ne esalta il valore.
“Ti ricordo”, replica l’altro, “che Wayne era un attore”.
“Se ai tempi del Vietnam John fosse stato alla Casa Bianca quel conflitto sarebbe durato una settimana!”, chiude, sicuro, il primo.
Ecco, il protagonista di mille western (e non solamente), il Ringo di ‘Ombre rosse’, l’Ethan Edwards di ‘Sentieri selvaggi’ non era percepito da larga parte degli americani ‘solo’ come un divo di Hollywood.
Era, rappresentava molto di più: il coraggio, il senso del dovere, l’onore, la fermezza, in qualche modo il Paese.
Ebbene, questo vero monumento vivente nel 1964 partecipa in prima linea, in prima persona, senza risparmio, alla campagna per White House che vede il senatore repubblicano Barry Goldwater impegnato contro il presidente uscente, il democratico Lyndon Johnson.
Quali i risultati?
Una netta sconfitta.
Gli elettori non si lasciano convincere.
Johnson ha fatto bene in politica interna e il Vietnam, laddove gli USA combattono, non lo ha ancora demolito come avverrà di lì a non molto.
Goldwater perde addirittura per quattrocentoottantasei delegati nazionali a sessantadue su un totale di cinquecentotrentotto.
(Per inciso – e non che a determinare la svolta epocale sia John Wayne, per carità – per la prima volta il partito repubblicano perde il Nord, sua abituale riserva elettorale, conquistando invece Stati del Sud fino a quel momento praticamente sempre democratici.)
Perché ricordare questi lontani accadimenti?
Semplicemente perché sempre la stampa e le tv danno grande rilievo alle dichiarazioni dell’uno o dell’altro personaggio, non soltanto del cinema, che si schieri in campagna elettorale di qua o di là.
Se ai suoi tempi non è riuscito John Wayne, l’americano per eccellenza, a cambiare le carte in tavola perché dovrebbero riuscirci, che so?, una Sarah Jessica Parker, un Woody Allen, perfino un George Clooney per stare tra i democratici, un Chuck Norris, un Robert Duvall o un John Voight per passare ai GOP?
Per quanto grande regista e attore sia, guardando alla campagna 2012, non ha cambiato nulla, se non forse per qualche infinitesimale zero virgola qualcosa, neanche l’allora celebrato ‘endorsement’ a favore di Mitt Romney pronunciato da Clint Eastwood.
Come diceva il vecchio e saggio, oltre che bravissimo, Indro Montanelli, alla fine conta il parere del lattaio dell’Ohio (Stato i cui risultati quasi sempre ma non nel 2020 collimano con quelli nazionali) l’opinione del quale nessuno o quasi dei giornalisti italiani che si occupano di elezioni USA cerca di conoscere.
2 aprile 2024