La funzione degli Exit Polls

Allora, per via dei fusi orari, a New York le urne chiudono indicativamente un’ora prima che a Chicago, due ore prima che a Denver, tre ore prima che a Los Angeles, quattro ore prima che ad Anchorage, sei ore prima che a Honolulu. Sappiamo che l’Exit Poll è sostanzialmente un sondaggio elettorale effettuato all’uscita dei seggi con l’intento di conoscere colà l’andamento del voto, con l’idea, accorpando i risultati di diverse e in differenti punti effettuate rilevazioni, di prevedere il più correttamente possibile l’esito finale nel Paese.
Orbene, come e in qual modo tale strumento possa essere (e sia) usato per influire sul voto è benissimo illustrato da quanto, sfruttando le differenze di fuso orario sopra ricordate, accaduto nel 2004.
Chiusi difatti da pochi minuti i seggi della Grande Mela e della costa atlantica, un famoso e autorevole public opinion pollster ha pubblicato una serie di Exit Polls tutti assolutamente favorevoli al candidato democratico John Kerry assicurando che il vantaggio acquisito dallo stesso fosse inattaccabile e la corsa alla Casa Bianca praticamente conclusa.
L’intento era naturalmente quello di fare in modo che gli elettori repubblicani abitanti negli Stati nei quali i seggi erano e sarebbero restati aperti per una o più ore che ancora non avevano votato rinunciassero a farlo considerando persa la partita e quindi inutile accedere alle urne.
E visto che in non poche circoscrizioni (va ricordato che con le cosiddette Presidenziali si svolgono anche le elezioni Congressuali) il successo del democratico o del repubblicano non solo a livello White House si sarebbe giocato su pochi voti…
Ricordo – ero ospite di un TG RAI al momento nel quale la notizia provocò grande sconcerto – che intervenni al riguardo dando le spiegazioni suddette e precisando che occorre obbligatoriamente conoscere le appartenenze politiche dei sondaggisti e che quel simpatico signore era notoriamente un democratico!

14 settembre 2024