L’articolo che scriverei dovesse Trump perdere le elezioni
1864, in pieno corso la Guerra di Secessione. Fissate all’8 novembre le elezioni presidenziali non pochi repubblicani dubitano a proposito di Abraham Lincoln: dovessero riproporlo, data la ancora grave situazione bellica, vincerebbe? Ed ecco che la Campagna d’Atlanta condotta con la necessaria estrema durezza da William Tecumseh Sherman porta alla caduta della città e a momenti politicamente opposti: euforici o pressappoco a Washington e in tutto il Nord.
Quanti avevano pensato al ripescaggio di John Fremont – sconfitto da James Buchanan nel 1856 ma ancora in auge – rinfoderano le armi e il primo esponente del futuro Grand Old Party arrivato a White House, con il sostegno di tutto il partito – attribuendo per ogni buon peso a Andrew Johnson, un democratico non secessionista, il secondo posto nel ticket – vince di bel nuovo e con facilità. 27 giugno 2024, quasi esattamente centosessant’anni dopo, quando per fortuna le armi tacciono, la capitale della Georgia si dimostra nuovamente decisiva in tema di elezioni. Donald Trump, a quel punto in vantaggio in tutti i sondaggi – Nate Silver, il più affidabile analista, gli attribuisce oltre i due terzi delle possibilità – avendo accettato irritualmente (questi confronti hanno sempre avuto luogo tra candidati ufficializzati dalle Convention e i due nella circostanza non lo sono) di affrontare in un dibattito televisivo negli studi della CNN proprio ad Atlanta il rivale Presidente in carica e desideroso di conferma Joe Biden, sostanzialmente, lo annichilisce.
Meglio, ottiene che il desso si dimostri in chiarissime difficoltà psichiche e fisiche e, soprattutto, di prendere il largo in tutte (non solo quelle specialistiche e maggiormente affidabili) le rilevazioni sondaggistiche seguenti.
È a questo punto sicuro, sono certi i suoi e conviene la stampa tutta che la strada verso la rivincita, il ritorno alla agognata Executive Mansion, impresa riuscita in passato solo a Grover Cleveland, siano per lui spianati. Come abbiamo visto l’appena trascorso 5 novembre, così non è affatto andata e dal 20 gennaio 2025 sull’agognato scranno siederà Kamala Harris, prima donna in grado di portare a termine l’impresa. Quello vissuto è, si deve pur dire, il più classico caso di abbaglio politico nella lunga storia delle Presidenziali: non avesse difatti Donald Trump accettato di affrontare ad Atlanta Joe Biden, le gravissime difficoltà dello stesso non sarebbero emerse come invalicabili e con buona probabilità non lo avrebbero costretto – oppresso da ogni parte anche da quella fino a quel momento amica (George Clooney, Nancy Pelosi, per dire) – a ritirare la candidatura e ad indicare la propria Vicepresidente Harris quale sostituta, quasi si trattasse di una successione dinastica. Ecco come e in qual modo una vittoria che sembrava definitiva si è trasformata nella, si è dimostrata la, peggiore sconfitta. Mi viene alla mente la domanda che pone J. K. in grado di immaginare una storia simile): “Cosa abbiamo imparato da tutto questo?”
22 settembre 2024