Miami
Governatore all’epoca di Portorico, Juan Ponce de Leon, a quel che dice la leggenda, sessualmente impotente ed avendo avuto notizia dell’esistenza da quelle parti inesplorate del continente settentrionale americano della ‘Fontana dell’Eterna giovinezza’ abbeverandosi alla quale avrebbe superato il gravissimo problema, il 2 aprile 1513, primo tra gli europei, mise piede in Florida.
Era la Domenica di Resurrezione, in spagnolo della ‘Pasqua Florida’.
Non guarì, purtroppo non trovò la mitica fontana né l’acqua di Bimini, dotata delle medesime capacità, ma collocata, ahilui, in una delle isole omonime facenti parte delle Bahamas laddove ancora oggi non pochi accorrono nella speranza, bevendo, di ritrovare la perduta virilità.
Gli anni che vanno dal 1817 al 1858 videro i nativi americani via, via arrivati in Florida opporsi agli Stati Uniti.
Denominati ‘Seminole’ ma facenti parte di tribù diverse, combatterono strenuamente tanto che la Seconda Guerra (la Prima, iniziata come detto nel 1817 cessò l’anno dopo), durata dal 1835 al 1842, fu il più lungo conflitto combattuto dagli USA tra la Guerra di Liberazione e quella del Vietnam.
Trattandosi in queste righe di Miami, quei lontani accadimenti vanno ricordati perché portarono all’edificazione del’unico monumento storico della città: Fort Dallas, sito in Downtown.
Città che comunque non esisteva, essendo data ufficiale di fondazione il 28 luglio 1896.
(All’epoca, non pochi proponevano che il nuovo insediamento si chiamasse ‘Flagler’ in onore di Henry Morrison Flagler, il magnate che aveva molto investito in Florida in particolare nelle comunicazioni ferroviarie.
Fu lo stesso Flagler a dire di no).
Miami, prima
Pubblicato nell’edizione definitiva a Parigi nel 1961, il capolavoro di Raymond Cartier ‘Les cinquante Amériques’ dedica alla Florida quattro striminzite pagine e a Miami non molte e poco benevole righe principalmente riservate alla sua attrattività turistica e alla ‘clientela’:
“Lo stile di Miami si chiama ‘florido-mediterraneo’, ciò che dispensa dal descriverlo.
Miami conta quattro spiagge, novantuno piscine di acqua salata, dodici parchi, cinquanta campi da tennis, cinque da golf di cui due privati.
Un quarto di tutte le stanze d’albergo della Florida, suddivise tra decine di enormi edifici, si trova su questa lingua di sabbia che fu, fino al 1913, un isolotto coperto di piante tropicali e quasi impenetrabile.
Le folle di Miami, contrariamente alle élites di Palm Beach, non sono ciecamente raccomandabili quanto a distinzione.
Quella che si reca lì è essenzialmente l’America vistosa, l’America strepitosa e l’America recente.
New York è la principale rifornitrice della grande città floridiana, il che fa dire che Miami è un prolungamento del Bronx.
Non si trova né a Miami né in nessuna parte della Florida nulla che equivalga alla vita letteraria e artistica californiana.
I pochi tentativi fatti per acclimatarvi il cinema sono falliti.
Uomini d’affari della costa del Pacifico fondarono nel 1921 una località che chiamarono Hollywood, ma si trattò solo di una speculazione immobiliare che produsse una piccola città di yachtmen.
Al di fuori degli aranci, la Florida e Miami non forniscono all’America che pelli abbronzate”.
E, per quanto si cerchi, riesce difficile trovare pagine letterarie di rilievo dedicate alla città così come pellicole cinematografiche che, trattandone esclusivamente come località turistica non di serie a, la presentino altrimenti, ivi compreso il capolavoro in commedia di Billy Wilder ‘A qualcuno piace caldo’ che proprio a Miami trova il suo epilogo.
Da un altro particolare punto di vista, si può seriamente concludere per una specie di subalternità di Miami durata fino a tutti gli anni Cinquanta del Novecento: nessuno dei due partiti dominanti la scena politica americana la volle come sede per una Convention (per quanti non lo sapessero il congresso nazionale nel quale repubblicani e democratici ufficializzano la scelta del loro candidato alla Presidenza).
Accadrà, e vedremo come e perché, solo nel 1968 e nel 1972 per i primi e nello stesso 1972 per i secondi.
Ma cosa era cambiato nel frattempo?
1 gennaio 1959, altrove
“Immagini televisive, questa volta.
Una lunga colonna di guerriglieri entra lacera ma vittoriosa l’1 gennaio 1959 a L’Avana.
Se ben ricordo, non molte persone osannanti ai lati delle strade.
Forse non si crede ancora alla fuga notturna, poche ore prima, di Fulgencio Batista.
Certo, non si sa cosa riserva il futuro.
Si spera…
Si aspetta.
Alla testa dei rivoltosi, Ernesto Che Guevara, Camilo Cienfuegos (Fidel è dall’altra parte dell’isola e arriverà nella capitale solo una settimana più tardi) e, incredibilmente, Errol Flynn, l’attore hollywoodiano di origini tasmaniane.
Cercano di intervistarlo.
Domande dettate da una giusta curiosità:
‘Ma davvero ha partecipato alla lotta?’
Banalità:
‘E’ stanco?’
Eccetera.
Non mi pare abbia voglia di parlare.
Bofonchia qualcosa di non memorabile.
Rammento che in quei momenti ho sperato che davvero avesse lottato con il Che e con Castro e nel contempo mi assaliva il sospetto che si trattasse solo di una abilissima mascheratura tesa a rinverdirne la fama attoriale da qualche tempo in declino.
Non ho mai saputo quale fosse la verità”.
Queste, le parole con le quali, nel capitolo dedicato a Cuba e alla rivoluzione guidata da Fidel Castro, a suo tempo, nel volume ‘Il continente della speranza?’, tratteggiai lo storico momento nel quale la storia dell’isola caraibica veniva sconvolta, successivamente, e allora ben pochi potevano anche solo sospettarlo, sconvolgendo anche quella Florida, di Miami e, per il vero, degli Stati Uniti tutti.
Miami, dopo e oggi
Marco Rubio.
Nato nel 1971, figlio di emigrati cubani, americano di prima generazione, avvocato, già membro della Camera dello Stato, il repubblicano conservatore Marco Rubio, Senatore a Washington a seguito della netta vittoria elettorale del 2010, è stato nel trascorso 2012 fra i papabili per comporre, al fianco di Mitt Romney, il ticket appunto repubblicano nella corsa verso White House.
Il fatto che alla fine gli sia stato preferito Paul Ryan è, visto il risultato nell’occasione favorevole a Barack Obama, una fortuna.
Rubio può ora pensare eventualmente a correre in proprio nel 2016 allorquando, non essendo in pista nel partito democratico un Presidente uscente, le possibilità per esponente del Grand Old Party dovrebbero essere maggiori.
Ma perché, trattando di Miami, soffermarsi sul giovane Senatore?
Presto detto: è lì che è nato e la sua carriera in costante ascesa è la dimostrazione di quanto in città, ma invero in tutta la Florida, gli Ispanici e in particolare i Cubani abbiano preso piede.
Gli è che a seguito della predetta affermazione castrista all’Avana, un gran numero di Cubani avversi al conseguente regime e avversati dallo stesso si sono trasferiti con ogni mezzo, altresì legalmente, nella a loro vicinissima penisola.
Non che tale situazione abbia prodotto solo persone ‘alla Rubio’, tutt’altro.
Miami è stata per lunghissimi anni, ed è ancora, una delle capitali mondiali del malaffare, in specie del commercio della droga.
Al punto che Brian De Palma, dovendo girare il remake di un film di culto quale ‘Scarface’, che Howard Hawks aveva a suo tempo ambientato a Chicago, ‘gangster’s city’ per eccellenza, non altrove pensò di girarlo.
E’ pur vero, peraltro, che per merito anche della fortunatissima serie televisiva ‘Miami Vice’ – narrava le storie, le avventure di due poliziotti infiltrati nella malavita per combatterla – un certo e pare duraturo risveglio si è avuto in città sia nel campo artistico, che in quello della moda, che ancora del cinema e della musica.
Una ulteriore dimostrazione del fatto che l’immigrazione (anche quella successiva degli Haitiani, quella interna dagli altri Stati, nel mentre non va certo trascurata la presenza degli Italo Americani e di alcune decine di migliaia di Italiani tout court) ha totalmente cambiato Miami è data dalle attività sportive a livello professionistico: le squadre sono state tutte fondate in anni recenti, i ‘Miami Dolphins’, football americano, nel 1966; i ‘Miami Heat’, pallacanestro, nel 1988; i ‘Miami Marlins’, baseball, nel 1993.
Certo, se oggi il citato Raymond Cartier avesse la possibilità di aggiornare le sue misere quattro pagine sulla terra scoperta da Juan Ponce del Leon ben cinquecento anni fa e passa nonché le poche righe riservate a Miami, molto di più avrebbe da scrivere, altresì guardando alla locale particolare creatività latino americana che, pur non arrivando a formare una ‘scuola’, propone diversi e diversificati talenti artistici in specie nel campo dello spettacolo.
Parrebbe questa una affermazione scontata e in fondo applicabile a qualsiasi altro Stato o a qualsivoglia città USA, ma così non è.
Gli Stati, le città, le civiltà vivono, prosperano, declinano, muoiono.
La Florida e Miami sono ora in grande spolvero.
Che se lo godano!
27 giugno 2024