Presidenziali del 2008, con annotazioni quanto a Barack Obama

Si vota il 4 novembre e la percentuale dei partecipanti è pari al cinquantotto e due per cento degli aventi diritto.
Il Partito Democratico, a Denver, nomina Barack Obama, Senatore nero dell’Illinois (è la prima volta di un uomo di colore a tale livello).
Obama ha sconfitto dopo lunga e aspra contesa Hillary Rodham Clinton, già First Lady e Senatrice in termine di mandato del New York.
Il Partito Repubblicano, a Saint Paul, converge sul Senatore dell’Arizona ed eroe di guerra (Vietnam) John McCain, uscito vincitore dal confronto con un notevole numero di rivali tra i quali va segnalato l’ex Governatore del Massachusetts Mitt Romney.
Il democratico prevale nettamente (fra l’altro, catturando un numero eccezionale di elettori) e conquista trecentosessantacinque Elettori (iniziale maiuscola, come sapete) contro i centosettantatre dell’avversario.
Gli Stati sono ventotto più il Distretto di Columbia (più, per il vero, un delegato del Nebraska) a ventidue.

Annotazioni
Obama alla Casa Bianca
(il testo che segue è stato scritto d’impeto e pubblicato su Il Foglio il 5 novembre 2008, ventiquattro ore dopo la vittoria di Barack Obama)
“Non più di tre giorni fa, su queste medesime colonne, testualmente scrivevo:
‘Oggi, se la rimonta di John McCain in corso dovesse permettergli di vincere in Florida, Ohio e Pennsylvania – detentori in totale di sessantotto voti elettorali – potremmo scoprire che tutti quei giornalisti che da giorni bivaccano a Chicago per essere vicini al vincitore promesso hanno sbagliato indirizzo e meglio avrebbero fatto ad andare in Arizona.
Certo è che, mentre un successo del repubblicano, seppur clamoroso date le premesse, sarebbe alla fin fine per molti versi ‘normale’ (un altro Wasp a White House: che barba!), una vittoria del democratico sarebbe qualcosa di storicamente straordinario non tanto e non solo per il colore della sua pelle quanto appunto perché i bianchi, anglosassoni e protestanti (solo John Kennedy tra tutti gli eletti non era protestante) abdicherebbero e forse per sempre (asiatici e ispanici crescono di numero a vista d’occhio) al più alto segno del potere: lo scranno presidenziale’.
Potrei, quindi, ora, a bocce ferme, semplicemente cavarmela dicendo che avendo il 4 novembre John McCain perso proprio nei tre Stati sopra indicati era per lui impossibile conquistare lo scranno presidenziale.
È vero però che quanti mi hanno seguito leggendo le mie riflessioni in questi due lunghi anni di campagna per White House sanno che ritenevo l’America non ancora pronta a un tale, radicale cambiamento che temporalmente collocavo tra quattro/otto anni.
Quali, quindi, ad una prima analisi, le ragioni che hanno portato gli USA, oggi e non domani, a questo epocale risultato e, se mi è consentito, il sottoscritto a sbagliare il pronostico che ‘azzeccava’ dal 1952?
Per cominciare, addirittura dal 1928 era la prima volta che non partecipavano alla ‘corsa’ né un Presidente in cerca di un nuovo mandato né un Vice desideroso di subentrargli (nel 1952, Truman, apparentemente non in gara, in verità si era proposto all’inizio nelle Primarie salvo ritirarsi poco dopo).
Per questa ragione la campagna è stata tanto lunga (la più lunga di sempre!) e articolata in entrambi gli schieramenti dando il tempo ai candidati di illustrarsi al meglio e agli elettori di accettare più facilmente l’idea di una possibile, democraticissima ‘rivoluzione’.
Poi, Obama ha avuto l’accortezza, l’intelligenza di non proporsi mai come ‘il candidato nero o di colore’ ma semplicemente come un qualsiasi candidato.
Non ha in nessun caso sottolineato, come fece Jesse Jackson negli anni Ottanta del Novecento, la sua diversità, si è rivolto a tutti e ha in seguito scoperto (sconfiggendo Hillary Clinton nelle Primarie) che era davvero il momento giusto per in tal modo agire.
Poi ancora, a Nomination ottenuta e nel mentre i sondaggi nazionali davano comunque in vantaggio, sia pure a giorni alterni e di poco, il repubblicano, ecco scoppiare la latente e profonda crisi economica.
Come avevo in precedenza in più occasioni scritto, storicamente, proprio il deflagrare di una situazione economicamente difficile e pesante aveva già in passato favorito i democratici: così con Grover Cleveland nel 1884, con Franklin Delano Roosevelt, ovviamente nel 1932, e persino con Bill Clinton nel 1992.
Gli elettori, in tali frangenti, pensano che sia meglio cambiare cavallo addossando al partito in carica, giusto o meno che sia, gran parte della responsabilità.
Ha senza dubbio, inoltre, avuto un peso rilevante (vedremo quale allorquando saranno noti nello specifico i dati relativi alle affluenze) il fatto che McCain fosse un candidato repubblicano ‘di minoranza’ visto che il meccanismo in uso nelle Primarie nel GOP (‘winner take all’, in molti Stati) gli ha permesso di cogliere la Nomination essendo espressione non della maggioranza assoluta dei repubblicani ma solo di una consistente maggioranza relativa.
La successiva scelta di Sarah Palin alla ricerca della necessarissima ‘copertura’ a destra non ha convinto – certamente, lo scopriremo dai flussi elettorali – gli indispensabili, ai fini della vittoria e come si era visto quattro anni orsono, evangelici e conservatori.
E neppure ha avuto il da me ipotizzato forte impatto la questione concernente la futura nomina da parte dell’eletto di due giudici della Corte Suprema che sarà a breve chiamata a decidere in merito a questioni etiche di rilievo (aborto, matrimoni gay…).
Ed è a mio parere questa – una certa disattenzione nei confronti dei valori morali – la seconda ‘rivoluzione’ che può portare a concludere per una futura, magari lenta, ‘scristianizzazione’ USA.
Infine, possono avere avuto un impatto comunque significativo l’età dei due antagonisti (il giovane dinamico e il vecchio) e una certa stanchezza a proposito della continua sottolineatura da parte repubblicana dell’eroismo bellico di John McCain: non è forse ora, nel mentre ci si batte in Iraq e Afghanistan, di dimenticare almeno il Vietnam?
Tutto questo e molto altro ancora e Barack Obama sarà a White House a partire dal prossimo 20 gennaio 2009.
Speriamo davvero che, come ha detto lo sconfitto riconoscendone il successo, tutta la nazione sappia sostenerlo e che egli, come ha affermato nel discorso seguente alla vittoria, sia sul serio in grado di degnamente rappresentare vincitori e vinti.
Abbiamo assistito ancora una volta alla concretizzazione del ‘sogno americano’ e che Dio ci aiuti!”

La terza rivoluzione
(Il testo che segue è stato vergato con qualche maggiore riflessione il 14 novembre 2008, dieci giorni dopo l’elezione di Obama)
“L’elezione, il trascorso 4 novembre, del Senatore democratico Barack Obama alla Presidenza degli Stati Uniti va considerata a tutti gli effetti rivoluzionaria, e questo non tanto e non solo per il colore della pelle del vincitore quanto perché per la prima volta dal 1788/89, allorché venne prescelto George Washington, con la sola parziale eccezione di John Kennedy (cattolico), gli Wasp – white, anglosaxon and protestant = bianchi, anglosassoni e protestanti – hanno perso lo scranno presidenziale.
Che la cosa dovesse avvenire, anche se (come ho più volte scritto) non così presto, era nell’aria considerato che altre e differenti etnie (si pensi, oltre ai neri, agli asiatici in genere, e a cinesi e indiani in particolare, nonché agli ispanici più degli altri in continua espansione) andavano nel Paese aumentando di numero fino a ridurre pressappoco in minoranza i predetti wasp.
A ben guardare, è questa la ‘terza rivoluzione americana’ ove per prima si intenda, ovviamente, quella che negli anni Settanta/Ottanta del Settecento portò all’Indipendenza e per seconda quella, pacifica ed assai meno conosciuta, datata 1828 anno in cui la sconfitta del Presidente in carica John Quincy Adams, ultimo esponente della classe politica (una specie di aristocrazia terriera) che aveva ideato e ‘fatto’ gli Stati Uniti, e il conseguente arrivo del nuovo Capo dello Stato Andrew Jackson segnò la conquista del potere da parte della borghesia.
Fatto è, comunque, che a partire dal mezzogiorno del prossimo 20 gennaio, Obama sarà ufficialmente a capo della (sia pur economicamente, forse, declinante) più grande potenza mondiale.
Al di là delle attese fuori luogo e ridicole di quanti vedono il lui il nuovo Messia e sono certi che porterà la pace e il cambiamento (qualsiasi cosa questo vocabolo abusatissimo in politica possa significare), l’impegno al quale il neo Presidente si accinge è, naturalmente, gravosissimo ed è in primo luogo assolutamente certo che, vista la crisi in atto e le conseguenti difficoltà, non potrà dare seguito e attuazione alle infinite promesse fatte nel corso della campagna elettorale.
Guardando, poi, con occhio attento alla realtà storica, ai precedenti che in quanto Senatore e in quanto democratico riguardano Obama, c’è da preoccuparsi.
I quattro Presidenti che, prima di lui, tali sono diventati passando direttamente dalla Camera Alta a White House si sono rivelati, nei fatti, tra i peggiori capi di Stato USA.
Si tratta, nell’ordine, di Franklin Pierce, Benjamin Harrison, Warren Harding e John Kennedy, due dei quali (Harding per un infarto e Kennedy a seguito del famosissimo attentato di Dallas), fra l’altro, morti in carica.
I suoi predecessori democratici afferenti al ventesimo secolo, con la sola eccezione di Jimmy Carter, hanno tutti portato il Paese in guerra: Woodrow Wilson nella Prima Mondiale, Franklin Delano Roosevelt nella Seconda, Harry Truman in quella di Corea, Kennedy e Lyndon Johnson in quella del Vietnam, Bill Clinton in quella della ex Jugoslavia.
Che Dio assista Obama, gli USA (che, del resto, secondo Bismarck, ‘con i bambini, gli ubriachi e i matti sono vegliati da un particolare tipo di Provvidenza divina’) e noi tutti”.

15 aprile 2024