Quali le ragioni per scegliere Tim Walz

Perché Kamala Harris e ovviamente il suo partito hanno scelto il sessantenne all’apparenza per quanto gioviale non particolarmente carismatico Tim Walz come candidato alla Vicepresidenza? Non certamente per questioni geopolitiche dato che lo Stato del quale è Governatore, il Minnesota, vota per l’Asinello democratico addirittura dal 1976 (perfino, unico con il District of Columbia, in quell’elettoralmente catastrofico anno che fu il 1984 della vittoria a valanga di Ronald Reagan).
Con buona sicurezza, invece, in quanto ritenuto una risposta in prospettiva efficace a J. D. Vance, il Running Mate di Donald Trump, al quale – sostanzialmente provenendo dallo stesso impoverito strato sociale bianco popolare e, cosa di notevole importanza, da uno dei ‘flyover States’ che, passando dalla costa atlantica quella pacifica, sorvoliamo non solo fisicamente come non esistessero – può contendere l’elettorato in difficoltà della Rust Belt (la ‘cintura della ruggine’ formata da Pennsylvania, Wisconsin, Michigan e zone confinanti, laddove i macchinari fermi oramai da tempo per la crisi all’interno delle fabbriche arrugginiscono) che a far luogo dal 2016, ininfluenti in effetti New York e California, decide alternativamente la corsa verso la Casa Bianca.
Due candidati alla seconda carica federale che per quanto radicalmente e all’opposto collocati (conservatore e in qualche modo ‘vecchia America’ il repubblicano, liberal e riformista il democratico) rappresentano pur sempre il ‘sogno americano’ essendo riusciti ad affermarsi, altroché, provenendo praticamente dal nulla o quasi.
Naturale che, esattamente come accaduto ad opera dei seguaci di Harris pochi giorni fa quando Vance fu esposto in prima linea, immediati siano partiti appena dopo l’annuncio gli attacchi repubblicani a Walz le cui prese di posizione, politicamente corrette come si dice, a proposito di aborto, diritti lgbtq, lotta alla immigrazione, al riscaldamento globale e quant’altro sono, per i trumpiani ancora più che per i repubblicani in genere, aberranti.
Sarà probabilmente un momento tra i più interessanti della campagna che ci attende quello nel quale (se la tradizione del dibattito tra i due Vice designati verrà mantenuta) Walz e Vance si confronteranno in televisione.

Ciò detto, vediamo di esaminare brevemente la figura istituzionale e storica del Vicepresidente. Eletto solo a partire dal 1804 in un ticket che forma con il candidato allo scranno Presidenziale del partito (in precedenza, il sistema elettorale non prevedeva una separazione delle due posizioni ragione per la quale colui che otteneva più Elettori – con l’iniziale maiuscola perché effettivamente incaricati di eleggere il Presidente riuniti dopo le votazioni nel Collegio che compongono – diventava Capo dello Stato e il secondo, anche se appartenente ad un differente partito, aveva la funzione appunto vicaria), il Vicepresidente, proprio per il fatto di essere il primo in linea di successione del titolare dell’incarico, deve possedere i tre requisiti richiesti dalla Costituzione a chi sieda a White House (essere cittadino dalla nascita, avere compiuto al momento dell’entrata in carica trentacinque anni e avere risieduto nel Paese almeno un quattordicennio).
Per il dettato costituzionale il Vice presiede il Senato avendo però facoltà di votare solo in caso di parità (potere peraltro non da poco, essendo nell’ipotesi sempre determinante).
Presiede necessariamente in quanto uscente anche la seduta del rinnovato Congresso nella quale saranno convalidate le elezioni delle due massime cariche.
Per il disposto dell’Emendamento del 1951 che limita a due le possibili elezioni presidenziali è in un particolare caso in grado di governare oltre gli otto anni che configurano due quadrienni e quindi più a lungo di un ‘two terms President’.
Se infatti subentrato al titolare nel secondo biennio di Presidenza (come occorso a Lyndon Johnson che poi non volle usufruire della disposizione) può candidarsi, ovviamente, per il mandato seguente ed altresì, per quanto eletto, per quello ancora dopo, cosa che gli è invece vietata quando sia succeduto nel primo biennio (si pensi a Gerald Ford).
Sette i Vice che si sono seduti sulla poltrona del Presidente a seguito della morte del titolare (nell’ordine temporale, John Tyler, Millard Fillmore, Chester Arthur, Theodore Roosevelt, Calvin Coolidge, Harry Truman e Lyndon Johnson).
Uno, Gerald Ford, il vicario subentrato a seguito delle dimissioni del Capo dello Stato, nello specifico Richard Nixon.
John Adams, Thomas Jefferson, Martin van Buren, Richard Nixon, George Herbert Bush, Joe Biden i Vice in grado di vincere di persona dopo avere ricoperto la carica.
Due soltanto i Vicepresidenti dimissionari (nel 1832 John Calhoun preferì fare il Senatore mentre nel 1973 Spiro Agnew dovette lasciare perché coinvolto in scandali che riguardavano il suo precedente operato di Governatore).
Fino alla approvazione di un Emendamento datato 1967, il Vice deceduto o dimesso non poteva essere sostituito ragione per la quale la carica restava vacante fino alle successive elezioni.
Da allora, con una particolare procedura (nomina presidenziale e conferma da parte del Congresso) può esserlo (il primo ad avere avuto modo di seguire tale iter è stato il più volte citato Gerald Ford il quale, approdato dipoi a White House, successivamente nominò percorrendo il medesimo iter il suo vicario, Nelson Rockefeller).

7 agosto 2024