Biden ha incassato novanta milioni di dollari il mese scorso

“Il comitato elettorale del Presidente Biden ha dichiarato di aver raccolto novanta milioni di dollari a marzo, una somma che dovrebbe aumentare il significativo vantaggio finanziario vantato nei confronti di Donald Trump”, riferisce l’autorevole Politico.
“La predetta struttura ha affermato di avere a disposizione ben cento novantadue milioni di dollari in contanti, un totale che include i fondi della campagna, del Comitato nazionale democratico e dei relativi comitati congiunti di raccolta.
Si tratta del più grande bottino di denaro accumulato da qualsiasi candidato presidenziale democratico a questo punto del ciclo, secondo una nota diffusa sempre da comitato in questione.
I coadiutori hanno rilasciato il totale prima della scadenza mensile per la presentazione alla Commissione elettorale federale alla fine di questo mese”.

7 aprile 2024

Sforzi finora vani di Biden di sfondare in campo avverso

CNBC sostiene che Joe Biden stia cercando di ottenere il sostegno politico e, a seconda dei casi, finanziario dai repubblicani che non si riconoscono in Donald Trump.
Aggiunge l’emittente che fino a questo momento il Presidente non sia riuscito in quest’ambito a cavare il proverbiale ragno da un buco.
Difficile davvero che una operazione del genere vada in porto.
Come difatti accaduto in altre circostanze con differenti protagonisti (penso in particolare al 2008 quando buona parte degli Elefantini non vedeva di buon occhio la candidatura di John McCain).
Avviene in tali momenti semplicemente che i repubblicani più distanti dal candidato si astengono, non vanno a votare.
Certamente non impossibile ma assai improbabile che si schierino votando o peggio ancora finanziando il candidato del partito democratico fieramente avverso.

7 aprile 2024

Maryland: storia elettorale in occasione delle presidenziali

1788/1789: (George Washington)
1792: (George Washington)
1796: Federalista (J. Adams)
1800: Democratico-Repubblicano (Jefferson)
1804: Democratico-Repubblicano (Jefferson)
1808: Democratico-Repubblicano (Madison)
1812: Democratico-Repubblicano (Madison)
1816: Democratico-Repubblicano (Monroe)
1820: Democratico-Repubblicano (Monroe)
1824: Democratico-Repubblicano (Jackson)
1828: National Republican (J. Q. Adams)
1832: National Republican (Clay)
1836: Whig (W. Harrison)
1840: Whig (W. Harrison)
1844: Whig (Clay)
1848: Whig (Taylor)
1852: Democratico (Pierce)
1856: Know Nothing (Fillmore)
1860: Democratico Sudista (Breckiridge)
1864: Repubblicano (Lincoln)
1868: Democratico (Seymour)
1872: Democratico (Greeley)
1876: Democratico (Tilden)
1880: Democratico (Hancock)
1884: Democratico (Cleveland)
1888: Democratico (Cleveland)
1892: Democratico (Cleveland)
1896: Repubblicano (McKinley)
1900: Repubblicano (McKinley)
1904: Democratico (Parker)
1908: Democratico (Bryan)
1912: Democratico (Wilson)
1916: Democratico (Wilson)
1920: Repubblicano (Harding)
1924: Repubblicano (Coolidge)
1928: Repubblicano (Hoover)
1932: Democratico (F. D. Roosevelt)
1936: Democratico (F. D. Roosevelt)
1940: Democratico (F. D. Roosevelt)
1944: Democratico (F. D. Roosevelt)
1948: Repubblicano (Dewey)
1952: Repubblicano (Eisenhower)
1956: Repubblicano (Eisenhower)
1960: Democratico (Kennedy)
1964: Democratico (Johnson)
1968: Democratico (Humphrey)
1972: Repubblicano (Nixon)
1976: Democratico (Carter)
1980: Democratico (Carter)
1984: Repubblicano (Reagan)
1988: Repubblicano (G. H. Bush)
1992: Democratico (B. Clinton)
1996: Democratico (B. Clinton)
2000: Democratico (Gore)
2004: Democratico (Kerry)
2008: Democratico (Obama)
2012: Democratico (Obama)
2016: Democratico (Hillary Clinton)
2020: Democratico (Biden)

7 aprile 2024

Presidenziali del 1976

Si vota il 2 novembre.
Cinquecentotrentotto gli Elettori e duecentosettanta la maggioranza assoluta.
Alle urne il cinquantatre e sei per cento degli aventi diritto.
Confronto davvero strano, unico.
Da una parte, il GOP ripropone il Presidente uscente Gerald Ford che è arrivato a White House stravolgendo, legalmente per carità, ogni tradizionale metodo.
È difatti stato nominato Vice Presidente secondo quanto disposto dal XXV Emendamento – usato per la prima volta a tale fine – in sostituzione del titolare della Vicepresidenza Spiro Agnew, che si era dovuto dimettere per scandali risalenti alla sua precedente carriera politica locale.
È dipoi subentrato nell’agosto del 1974 a Richard Nixon dopo le dimissioni dello stesso conseguenti allo ‘Scandalo Watergate’.
La Nomination di Ford era stata molto contrastata in particolare dall’ex Governatore della California Ronald Reagan.
Alla Convention di Kansas City – una Brokered Convention – i due si erano presentati talmente vicini quanto a delegati da far dire che l’esito non era determinabile (gergalmente, ‘too close to call’).
Prevalse, come detto, Ford, rinunciando peraltro al Vice che si era in precedenza scelto (Nelson Rockfeller) e accettando un programma conservatore lontano dalle sue stesse idee.
Con lui nel ticket il Senatore del Kansas Robert ‘Bob’ Dole, futuro e sfortunato candidato a White House.

Molti tra i democratici i possibili pretendenti.
Fra gli altri, da citare almeno Sargent Shriver – già al fianco di McGovern nel 1972 – e il Senatore del Texas Lloyd Bentsen, più tardi in corsa con Michael Dukakis.
A sorpresa, tra i tanti, nel corso delle Primarie, emerse il nome di un ex Governatore della Georgia, Jimmy Carter.
Avendo il vantaggio di non essere stato in precedenza coinvolto in scandali a livello nazionale, infine, fu il prescelto nella Convention di New York City.

Lo ‘Scandalo Watergate’ e il fatto che il primo Presidente nella storia costretto a dare le dimissioni fosse repubblicano pesava, evidentemente, come un macigno sulle spalle del povero Ford
Tutti gli osservatori pensavano che il democratico avrebbe quindi vinto facilmente.
Così, peraltro, non fu.
Un Carter assai poco incisivo alla fine prevalse davvero per un soffio.
Si è calcolato che se ottomila persone avessero votato differentemente tra Ohio ed Hawaii l’uscente sarebbe restato in carica.

Tra i molti terzi esponenti di partiti decisamente minori, da segnalare una nuova candidatura come indipendente di Eugene McCarthy.

Al fianco di Carter, il partito indicò per la Vicepresidenza il Senatore del Minnesota Walter Mondale.
Alla fine, il Rappresentante dell’Asino vinse in ventitre Stati e nel Distretto di Columbia mentre il leader dell’Elefante prevalse in ventisette Stati purtroppo per lui dotati in totale di un minor numero di Elettori (duecentoquaranta) rispetto a quelli conquistati dal rivale (duecentonovantasette).

Il totale non è cinquecentotrentotto perché in sede di Collegio Elettorale un voto fu dato da un dissenziente a Ronald Reagan.

7 aprile 2024

Coattail Effect

6 novembre 1984, USA alle urne.
Ronald Reagan stravince (perde solo il Minnesota e il District of Columbia e conquista il numero in assoluto e in percentuale più alto di Elettori – iniziale maiuscola per distinguerli da quelli comuni perché loro specifico compito è eleggere il Presidente – della storia) e naturalmente si conferma a White House.
Ciò malgrado, il partito repubblicano cui appartiene e che guida non conquista la maggioranza nelle concomitanti elezioni per la Camera e perde addirittura due seggi al Senato.
Si deve in proposito (ho scelto la tornata elettorale in questione perché da questo punto di vista emblematica) concludere che il Presidente sia capace in modo straordinario di raccogliere consenso personale ma che non sia in grado di fare in modo che tale sua caratteristica porti, ‘a strascico’ per così dire, i suoi a vincere con lui?
Tale particolare attitudine ha un nome preciso nella letteratura politica americana: si chiama ‘Coattail Effect’.
Quando ciò occorra, si dice che gli eletti che ne abbiano goduto hanno ottenuto lo scranno “on the Coattails of the President”.

7 aprile 2024

I film dai quali, quanto alle elezioni americane, non è possibile prescindere

Capita poi che perfino in una commedia senza pretese se non quella di allietare come ‘Speechless’ (‘Ciao Julia, sono Kevin’, sui nostri schermi, 1994) – ma il titolo originale avrebbe dovuto mettere in proposito sul chi va là – di interessanti argomentazioni relative alle campagne elettorali americane se ne rinvengano eccome.
Mai, quindi – ma c’è forse qualche altro qualsiasi tema a proposito del quale sia possibile farlo? – cristallizzare la propria attenzione montando i paraocchi.
Tre – e ne ho viste a dozzine specie in tempi lontani – comunque, le pellicole hollywoodiane delle cui sceneggiature ‘politico istituzionali’ non è possibile fare a meno (per quanto, a ben guardare, una quarta potrebbe essere ‘Advise and Consent’ di Otto Preminger, 1962, ‘Tempesta su Washington’ da noi).
La prima è datata 1964 ed è opera del grande Gore Vidal, intellettuale di massimo aspetto da sempre attento all’argomento.
Già il fatto che lo scrittore e drammaturgo avesse chiamato ‘The Best Man’ la piece teatrale dalla quale poi – regista Franklin Schaffner il cineasta consulente per le apparizioni televisive di John Kennedy al quale si era altresì rivolta Jackie Kennedy perché illustrasse la ‘sua’ Casa Bianca – trasse ‘L’amaro sapore del potere’ (titolo italiano non del tutto fuori luogo) fa comprendere come, infine e per quanto ciò possa essere considerato frutto di leggenda e non verità, gli Americani ritengano (ritenevano?) che dallo scontro tra i candidati alla Nomination (il film è ambientato in una Convention partitica delle cui regole fornisce notevole rappresentazione e non potrà – ne siamo convinti – che essere in seguito altrettanto tra i due ammessi ‘al primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre dell’anno bisestile’) emerge solo e soltanto l’Uomo migliore!
La seconda in ordine di realizzazione è del 1972 e consente all’autore Jeremy Larner di vincere l’Oscar.
Poggia – fondamentale che così sia oltre il plot – su una atmosfera ancora kennediana e su un Robert Redford assolutamente in parte.
Si intitola ‘The Candidate’ (‘Il candidato’) e propone la campagna elettorale per il Senato federale di un fino a quel mentre idealista politico di base californiano che un professionista del settore va a scovare, sollecita e infine porta a vincere introducendolo in un mondo le cui regole gli sono (anche se non soprattutto per sua volontà, certamente) ignote.
La terza pellicola è assolutamente straordinaria e lo script opera di Martyn
Burke – del 1997 e vergato per una produzione televisiva minore (quando occorre che perfino l’autore non comprenda dove va a parare…) girata da Joe Dante il cui titolo è ‘The Second Civil War’ – è semplicemente da imparare a memoria.
Magistrale difatti la rappresentazione che della nefasta influenza dei media sulla politica e sulla società, in particolare di quelli politicamente corretti, fornisce.
Impeccabile l’immagine che della sempre più evidente frattura tra Repubblicani e Democratici propone evidenziando come nei differenti Stati ci si contrapponga profondamente.
Eccezionale in ogni minimo dettaglio, ivi compresi gli apporti e le citazioni spacciati in seguito come prodotti di precedenti uomini politici assolutamente americani e invece, lo vediamo, opera di capacissimi immigrati creativi delle più diverse provenienze.
Ovvio che il terribile finale (scoppia effettivamente la Seconda Guerra Civile Americana) è la inaccettabile minaccia contro la quale gli USA devono battersi.
Possono farlo abbassando infinitamente i toni ai quali le ultime campagne elettorali e gli esiti tanto ferocemente opposti ci vanno purtroppo abituando?

7 aprile 2024

Gli sconfitti. Wendell Wilkie, cambiare cavallo al momento giusto

Sapete.
Negli ‘States’ occorre iscriversi alle liste elettorali.
Non è che perché uno è maggiorenne voti.
Ha il diritto di farlo ma deve dichiarare iscrivendosi alle citate liste di volerlo esercitare, quel benedetto diritto.
Ora, all’atto, i cittadini possono (nessun obbligo) dire quale sia il loro partito di riferimento.
Servirà dipoi conoscere questo dato allorquando dovesse essere indetta da un partito una ‘Primaria chiusa’.
Il ‘cambio di cavallo’ è raro ma se ne hanno esempi davvero particolari.
Nel tardo 1939, Wendell Wilkie si registrò come repubblicano.
Fino al giorno prima era stato democratico.
Uno tra i più attivi.
Pochi mesi – nel 1940 si votava per White House – ed eccolo in corsa per la Nomination repubblicana.
Non che fosse tra i favoriti, ma insomma.
Arrivata la Convention del Grand Old Party a un punto morto (‘Deadlocked Convention’), fu nominato.
Aveva quattro anni prima dichiaratamente contribuito con versamenti alla campagna del Roosevelt che adesso affrontava.
Lo aveva votato.
Perse nettamente.

7 aprile 2024

Sotto osservazione la salute di Donald Trump

Ogni minuto o quasi (esagero? non credo), i media a lui ostili (sono la stragrande maggioranza e non è che nel 2016 abbiano avuto molto successo) si occupano di Donald Trump.
Oggi, per dire, della sua salute.
(Visto che il tycoon critica le condizioni fisiche e mentali di Biden, deve aspettarselo).
Se ne occupa il Washington Post dando notizia del fatto che dopo tre anni (sostiene questo sia il tempo trascorso) finalmente l’ex Presidente si è sottoposto a una visita medica generale.
Ma che l’esito, assolutamente favorevole e scarno di particolari tanto che non viene riportato neppure il peso dell’esaminato, è in verità certificato da un osteopata, medico nel New Jersey e socio proprio del Golf Club da Trump frequentato, con tutti i dubbi (lascia intendere) del caso.

6 aprile 2024

Un ticket Trump/Kennedy, nientemeno?

Mille e una le ipotesi quanto alla formazione del ticket che vede Donald Trump in prima posizione.
La più intrigante è riportata ieri dal New York Times.
Il Running Mate della formazione potrebbe essere addirittura Robert Kennedy Jr!
Verrebbe così a comporsi qualcosa di simile, almeno teoricamente, a un Dream Team.
Il tycoon ha da sempre una notevole considerazione del nome Kennedy e non mancava ai tempi della Casa Bianca di ricordare con grande rispetto il predecessore.
Ciò detto a parte, guardando al concreto, l’uscita potrebbe funzionare per l’uno e per l’altro.
Ipotesi, lontana…

6 aprile 2024

Vincere ventisette Stati contro ventitré e perdere!

Fra i mille primati che vanno riconosciuti a Gerald Ford (il nativo di Omaha è ovviamente prima di tutto il solo uomo arrivato alla Presidenza senza essersi candidato visto che subentrò prima nella posizione vicaria e poi in quella di Capo dello Stato a seguito di due successive dimissioni e subito dopo ancora il primo Vice succeduto in corso di mandato del Novecento che abbia fallito cercando la conferma) l’avere nel 1976 vinto per voti popolari in ben ventisette Stati contro i ventitré più il Distretto di Columbia del rivale Jimmy Carter e perso comunque in termini di Electors (duecento novantasette al democratico contro i suoi duecento quaranta essendo andato un voto dissidente a Ronald Reagan) membri del Collegio che nomina effettivamente l’inquilino della Executive Mansion!

6 aprile 2024