Tra Biden e Trump i rischi del dopo elezioni 

Cosa succede se il 5 novembre Donald Trump sconfigge Joe Biden il quale resta comunque in carica fino a mezzogiorno del 20 gennaio seguente per settantacinque giorni e più?

Dalla seconda elezione presidenziale datata 1792, fino alla votazione del 1932 compresa, l’Insediamento del Presidente USA eletto ha avuto luogo il 4 di marzo dell’anno seguente. Si ricordava in questo modo l’entrata in vigore della Carta Costituzionale datata 4 marzo 1789.
Il periodo nel quale si aveva sostanzialmente la coesistenza di due Capi dello Stato – quello comunque in carica e l’eletto, ovviamente nel caso in cui fossero di due diversi schieramenti e non solo, inoltre, come più volte accaduto, invisi a dir poco l’uno all’altro – era molto lungo.
Troppo, si decise, ragione per la quale dalla tornata elettorale del 1936, con un apposito Emendamento, il Ventesimo, la cerimonia fu anticipata al mezzogiorno del 20 gennaio dell’anno dispari successivo.
Sono comunque settantacinque giorni e mezzo, non poco.
Troppo, se il Presidente ancora in carica per quanto defenestrato e l’eletto siano ai ferri non corti, cortissimi come oggi Joe Biden e Donald Trump, dovesse il secondo spodestare il primo.
Esiste un sistema – che ha già fatto acqua in precedenti non altrettanto conflittuali occasioni – che prevede il passaggio di consegne sostanzialmente governato da due commissioni che concordino lo svolgimento delle procedure, auspicabilmente, col miglior possibile fairplay.
Un orizzonte preoccupante con ogni probabilità quello che ci aspetta visto che nessuno dei due contendenti sembra poter avere nel caso un atteggiamento simile a quello di James Buchanan che accolse con estrema cortesia Abraham Lincoln dicendogli che si augurava fosse altrettanto contento il repubblicano di entrare nella stanza ovale quanto lui di lasciarla.
O come uscì di scena quel gran gentiluomo che fu George Herbert Bush, facendo trovare sulla scrivania a Bill Clinton che lo aveva battuto una lettera così composta:
“Caro Bill, proprio adesso, entrando in questo ufficio, ho provato la stessa sensazione di meraviglia e rispetto che avevo vissuto quattro anni fa.
So che la sentirai anche tu.
Ti auguro di essere felice qui.
Io non ho mai sofferto quella solitudine che altri presidenti hanno descritto.
Verranno momenti difficili, resi ancor più difficili dalle critiche che percepirai come sleali.
Non sono bravo a dare consigli; ma non lasciare che queste critiche ti scoraggino o che ti spingano fuori strada.
Quando leggerai questa mia nota tu sarai il nostro Presidente.
Ti auguro il meglio.
Auguro il meglio alla tua famiglia.
Il tuo successo adesso è il successo del nostro Paese.
Faccio il tifo per te.
Buona fortuna.
George”.

16 febbraio 2024

Intenzioni di voto basate sulle caratteristiche demografiche

I dati che seguono sono stati elaborati tra il 30 settembre e il 5 ottobre 2020 e si riferiscono pertanto alla precedente elezione
Li indico comunque in attesa dei nuovi per dare in merito un’idea che in generale è ancora valida.
– tutti gli elettori: Biden guida 52 a 42
– uomini: Biden 49 a 45
– donne: Biden 55 a 39
– bianchi: Trump 51 a 44
– neri: Biden 89 a 8
– ispanici: Biden 63 a 29
– asiatici: Biden 75 a 22
– 18/29: Biden 59 a 29
– 30/49: Biden 55 a 38
– 50/64: Biden 49 a 47
– 65: 49 pari
– laurea primo livello: Biden 68 a 28
– laurea secondo livello: Biden 57 a 37
– laurea non finita: Biden 48 a 46
– diploma o meno: Trump 49 a 45
– laureati in totale: Biden 58 a 37
– non laureati in totale: Trump 60 a 34.

16 febbraio 2024

‘Faithless Electors’

Per definizione, è un Elettore ‘sleale’ (‘Faithless Elector’) il componente del Collegio Elettorale che il primo lunedì dopo il secondo mercoledì del mese di dicembre successivo alla propria elezione novembrina, chiamato a votare per il candidato al quale, conseguentemente al risultato verificatosi nelle urne nel suo Stato, è legato, si esprime differentemente.
Nel 2016, per dire, in sede di Collegio, tre suffragi andarono a Colin Powell, uno a testa a John Kasich, Bernie Sanders, Ron Paul e Faith Spotted Eagle.
Non tutti gli Stati consentono ai loro Elettori (iniziale maiuscola per distinguerli da quelli comuni) di esprimersi come desiderano nella circostanza.
Alcuni lo vietano arrivando a sostituire i reprobi.
Altri multano i trasgressori.
Altri…
Sulla questione si interroga di questi tempi la Corte Suprema nella quale i pareri sembrano discordi.
Parte dei Giudici propenderebbero per lasciare assolutamente liberi i predetti mentre altri li vorrebbero obbligatoriamente costretti.
Nella storia, i ‘Faithless Electors’ riguardo alla Presidenza sono stati in totale centosessantacinque.
Il caso più eclatante (sessantatre in realtà niente affatto sleali ma costretti dagli eventi) si ebbe nel 1872 quando il candidato sconfitto a novembre Horace Greeley venne a morte prima della votazione collegiale.
Aveva Greeley conquistato sessantasei Delegati, tre dei quali lo votarono benché fosse morto, mentre gli altri dispersero le loro preferenze tra quattro differenti individui.
Qualcosa di non del tutto analogo ma insomma (il candidato – allora, alla Vice Presidenza – non era morto ma la delegazione della Virginia non lo appoggiò) – meno importante dal punto di vista numerico ma significativo certamente – si era verificato nella votazione collegiale nel 1836.
Unico nella storia tra i vicari, in applicazione di quanto disposto dal XII Emendamento, il desso fu dipoi eletto dal Senato.
Si chiamava Richard Mentor Johnson.

15 febbraio 2024

“Il” dibattito televisivo 1960 Kennedy/Nixon

Una delle convinzioni più radicate e false contro la quale è quasi impossibile lottare è quella relativa “al” dibattito televisivo del 1960 tra i due candidati alla Casa Bianca John Kennedy, democratico, e Richard Nixon, repubblicano.
In verità, i confronti tra i due furono quell’anno quattro.
E si pensi a quanto inchiostro (si sarebbe detto una volta) è stato usato da grandissime (?) firme per commentare quanto in effetti non assolutamente unico, non irripetuto.
Ogni qual volta, per collegamento, mi vengono in mente almeno due altrettanto granitiche differenti asserzioni:
“L”‘allunaggio (furono sette!).
“Il” viaggio di Colombo in America (quattro!).

15 febbraio 2024

USA: uno Stato dal 1776. Quando una Nazione? 

La fondazione come un fatto storico inevitabile.
Il loro sviluppo come un processo inesorabile.
Voluto da Dio.
Il fato segnato il giorno medesimo nel quale Cristoforo Colombo si era messo in mare.
Questa la risposta data da uno dei primi importanti storici americani – George Bancroft nel 1834, non ancora sessantenne il Paese – alla domanda composta nel titolo nell’intento di scolpirne la pluralità futura e il cosmopolitismo.
E, d’altra parte, cos’altro poteva vergare un sostenitore ante litteram della teoria del Destino Manifesto?
Al proposito, poi, ecco quanto osserva in ‘Queste verità. Una storia degli Stati Uniti d’America’, Jill Lepore:
“… Dichiarando la propria Indipendenza nel 1776, gli Stati Uniti erano divenuti uno Stato, ma cosa poteva renderli una Nazione?
La storiella che il loro popolo discendesse da una stessa stirpe era palesemente assurda.
Si trattava di gente giunta da luoghi diversi e dopo avere intrapreso una guerra contro la Gran Bretagna l’ultima cosa che voleva era celebrare la propria
‘inglesità’…”
1492, dunque!?

14 febbraio 2024

Quando il Vicepresidente battuto guida il Congresso

Il tristemente famoso 6 gennaio 2021, al Campidoglio, presieduta la riunione del Congresso dal Presidente del Senato, alla fine, fu ratificata l’elezione di Joe Biden.
Il citato Presidente della Camera Alta era ovviamente (così prescrive la Costituzione) il Vicepresidente Mike Pence, l’ultima volta questa nella quale il detentore della carica vicaria ancora esercitante il mandato (che cessa a mezzogiorno del 20 gennaio) ha guidato la ratifica della propria (in uno con quella del Presidente in cerca di conferma) sconfitta.
Così era accaduto nel dopo Seconda Guerra Mondiale in precedenza anche per Walter Mondale il 6 gennaio 1981 e per Dan Quayle il 6 gennaio 1993.
Più doloroso certamente quando, sempre dopo il secondo conflitto citato, la ratifica in questione è stata presieduta da un Vice in prima persona candidato al massimo scranno e debellato.
Tre i casi:
– il 6 gennaio 1961 nell’incombenza si esercitò Richard Nixon, vicario di Dwight Eisenhower battuto da John Kennedy nel tentativo di salire di grado
– il 6 gennaio del 1969 Hubert Humphrey, Vice di Lyndon Johnson messo ko dal redivivo Nixon
– il 6 gennaio 2001 Al Gore, secondo di Bill Clinton sconfitto da George Walker Bush.

Un caso del tutto particolare riguarda Nelson Rockfeller.
Vicario di Gerald Ford, essendo stato sostituito da Bob Dole nel ticket guidato dal medesimo Ford in cerca di reincarico, condusse una seduta del Congresso che ratificava la sconfitta del Presidente a fianco del quale era stato seduto ma non la propria (già in precedenza, in sede di Convention repubblicana, certificata)

14 febbraio 2024

La forza fisica necessaria per esercitare la Presidenza

Praticamente, poco oltre un anno e mezzo.
Questa, ai nostri giorni, la durata della campagna elettorale USA per i candidati impegnati nell’ambito dei due partiti maggiori a cercare di ottenere la nomination seguendo percorsi che prevedono confronti e dibattiti a iosa, Caucus, e Primarie per ogni dove, per infine battersi con l’avverso contendente.
(Minore, a tale fine, ovviamente ma non sempre, l’affanno del Presidente in carica in cerca di conferma).
Occorre quindi – cosa che non viene usualmente presa nella dovuta considerazione mentre è psicologicamente molto importante (chi voterebbe una persona in difficoltà fisiche?) – una salute di ferro per la bisogna.
Salute che deve poi permanere nei tempi successivi, nel mentre l’eletto esercita il potere esecutivo.
Storicamente – i non gravi problemi affrontati e risolti da Dwight Eisenhower a parte – quanto possa ‘pesare’ governare si è compiutamente visto quando Franklin Delano Roosevelt ottenne il quarto mandato.
(Non per altro, si pervenne poi nel 1951 alla approvazione dell’Emendamento, il XXII, che impedisce una terza elezione).
Entrato nella circostanza in carica il 20 gennaio 1945, affaticato, debole, probabilmente febbricitante, Franklin Delano pronunciò un breve discorso.
Due giorni dopo, doveva partire per partecipare alla Conferenza di Jalta.
Arrivato in treno a Newport News, Virginia, si imbarcò su un incrociatore pesante opportunamente attrezzato di rampe per la sua sedia a rotelle.
Il viaggio per Malta – ottomila i chilometri – durò undici giorni.
Dall’isola mediterranea, un successivo e solitario volo (Churchill era su un differente aereo) di sette ore per arrivare in Crimea ed incontrare Stalin.
Ufficialmente, dal 4 febbraio la Conferenza.
Molto discussi – esaltati quanto criticati – dagli storici i suoi comportamenti e i risultati.
Tornato negli USA, il primo marzo riferì al Congresso.
Ancora più magro e pallido, parlava da seduto incapace di reggersi in piedi.
Tremava e biascicava.
Fu il seguente 12 aprile 1945 che a Warm Spring collassò, per morire alle 15.35 a causa di una emorragia cerebrale.
4422 i giorni trascorsi alla Casa Bianca.
Troppi da ogni punto di vista e pertanto anche fisicamente.
Non era d’altra parte stato George Washington rifiutando nel 1796 una terza investitura a dire che nessuno poteva pensare di poter sostenere un siffatto peso per più di otto anni?

13 febbraio 2024

La teoria del domino

Ovvero, come i precedenti indirizzi politici influiscano anche quando opera di amministrazioni di opposta appartenenza.
1954, il Presidente repubblicano Dwight Eisenhower – che ha da non molto chiuso con un armistizio il conflitto coreano mantenendo l’impegno in tal senso preso nella campagna elettorale che nel 1952 lo ha portato a White House – esprime il timore che nel Sud Est Asiatico la caduta in mano comunista di un singolo Stato possa provocare la successiva presa di potere da parte ‘rossa’ degli Stati circonvicini.
Occorre pertanto impedire ovunque e comunque nell’area che questo accada ad evitare che la teoria, definita subito ‘del domino’, trovi attuazione.

Durante le due successive amministrazioni democratiche di Kennedy e Johnson questa teoria fu considerata un assunto fondamentale e contribuì grandemente a giustificare l’intervento americano nella Guerra del Vietnam.

13 febbraio 2024

Robert Kyoung Hur, la sua relazione a proposito di Biden, le conseguenze

Ha assolto Joe Biden il consulente speciale per l’indagine sui documenti riservati che il Presidente deteneva a dire di non pochi illecitamente, Robert Kyoung Hur, un ex Procuratore per il Distretto del Maryland di appartenenza repubblicana incaricato nel gennaio del 2023 di valutare la situazione da Merrick Garland, il Procuratore Generale degli Stati Uniti ovviamente democratico.
Ha assolto sì il Presidente, nel contempo assestandogli una vigorosa bastonata visto che lo ha descritto come un vecchio smemorato e alla fine minorato mentalmente.
A seguito della pubblicazione delle valutazioni di Hur (certamente anche delle incertezze e confusioni fisiche e psichiche a tutti evidenti del Capo dello Stato), un sondaggio effettuato da ABC News/Ispos ha evidenziato un paio di giorni fa un dato per Biden molto preoccupante: addirittura l’86 per cento degli interpellati lo reputa troppo vecchio per un secondo mandato.
È vero che il 59 per cento ritiene altrettanto improponibile per l’età anche il settantasettenne Donald Trump.
Ma chi è questo Hur per noi ed anche per molti americani spuntato dal nulla?
Nato nel 1973 a New York, di origini sud coreane, ha una preparazione scolastica eccezionale essendosi laureato in letteratura inglese e americana ad Harvard magna cum laude, avendo studiato filosofia al King’s College a Cambridge e legge a Stanford in entrambi i casi col massimo esito.
Ha lavorato fra l’altro nei primi anni del secolo con l’allora Presidente della Corte Suprema William Rehnquist.
Come si vede, un consulente di altissimo profilo.

12 febbraio 2024

1952, il Texas vota incredibilmente repubblicano

Tre miglia dalla terraferma.
La portata delle batterie basse di Horatio Nelson.
Questo un tempo il limite della sovranità delle Nazioni, delle loro acque territoriali.
Limite superato poi dalla portata dei cannoni e per conseguenza caduto largamente in disuso.
Della questione si discusse davanti alla Corte Suprema USA allorquando si dovette decidere a quale Stato appartenessero i petroli del fondo marino del Golfo del Messico.
Che dovessero essere ‘americani’ era ovvio (per gli americani).
Ma l’oro nero estratto spettava al Texas o allo Stato Federale?
La questione fu decisa a favore di Washington.
“È un caso di secessione!”, esplose alla notizia l’allora Governatore dell’ex Stato della Stella Solitaria, Allan Shivers.
Correvano i primissimi Cinquanta del Novecento e non si arrivò a tanto, ma nel 1952, per la prima volta, il ‘Grande Paese’ (secondo Donald Hamilton) o se preferite ‘il Gigante’ (come lo definiva Edna Ferber), accusando il Partito dell’asino – che dal primo Franklin Delano Roosevelt deteneva il potere federale – di non avere sostenuto le sue istanze in proposito, alle Presidenziali votò repubblicano.
Per Dwight Eisenhower dunque.
Vi hanno detto, vi dicono, vi diranno che accadde per altri motivi.
Perché il Generale era texano (nato è vero a Denison aveva lasciato la città e lo Stato a due anni, figuratevi).
Perché dopo la Guerra di Secessione e dopo oltre novant’anni di assenza elettorale i repubblicani facevano seriamente campagna a Sud.
Perché qualche texano si era lasciato scappare che gli sarebbe stato possibile votare per un Presidente GOP ma impossibile farlo a livello governatoriale o locale in quanto i suoi antenati si sarebbero girati nella tomba.
Perché…
Ma quel cinquantatre per cento dei cittadini di Dallas, Austin, Houston e via dicendo che votarono nella circostanza GOP lo fece per lo sgarbo sul petrolio che andava fatto pagare.
Cambieranno poi definitivamente (quando mai si può dire così in politica?) le cose e diventerà un ‘Red State’ pressoché permanente il Texas.
Succederà solo con e dopo Ronald Reagan, in un altro mondo, e non solo politicamente parlando.

12 febbraio 2024