Mississippi: storia elettorale in occasione delle presidenziali

1820: Democratico-Repubblicano (Monroe)
1824: Democratico-Repubblicano (Jackson)
1828: Democratico (Jackson)
1832: Democratico (Jackson)
1836: Democratico (Van Buren)
1840: Whig (W. Harrison)
1844: Democratico (Polk)
1848: Democratico (Cass)
1852: Democratico (Pierce)
1856: Democratico (Buchanan)
1860: Democratico Sudista (Breckerindge)
1864: Guerra civile
1868: /
1872: Repubblicano (Grant)
1876: Democratico (Tilden)
1880: Democratico (Hancock)
1884: Democratico (Cleveland)
1888: Democratico (Cleveland)
1892: Democratico (Cleveland)
1896: Democratico (Bryan)
1900: Democratico (Bryan)
1904: Democratico (Parker)
1908: Democratico (Bryan)
1912: Democratico (Wilson)
1916: Democratico (Wilson)
1920: Democratico (Cox)
1924: Democratico (Davis)
1928: Democratico (Smith)
1932: Democratico (F. D. Roosevelt)
1936: Democratico (F. D. Roosevelt)
1940: Democratico (F. D. Roosevelt)
1944: Democratico (F. D. Roosevelt)
1948: Dixiecrat (Thurmond)
1952: Democratico (Stevenson)
1956: Democratico (Stevenson)
1960: Unpledged electors (poi confluiti su Harry Byrd)
1964: Repubblicano (Goldwater)
1968: Indipendente (Wallace)
1972: Repubblicano (Nixon)
1976: Repubblicano (Ford)
1980: Repubblicano (Reagan)
1984: Repubblicano (Reagan)
1988: Repubblicano (G. H. Bush)
1992: Repubblicano (G. H. Bush)
1996: Repubblicano (Dole)
2000: Repubblicano (G. W. Bush)
2004: Repubblicano (G. W. Bush)
2008: Repubblicano (McCain)
2012: Repubblicano (Romney)
2016: Repubblicano (Trump)
2020: Repubblicano (Trump)

11 aprile 2024

Gli sconfitti: John McCain

Eroe di una guerra lontana e amara della quale nessuno amava più parlare…
Di famiglia ricca di tradizioni militari…
Formato ideologicamente ai tempi della guerra fredda…
In politica a livello nazionale in pieno reaganismo (alla Camera dal 3 gennaio 1983 e al Senato dal 3 gennaio 1987)…
‘Falco’ nei confronti dell’Unione Sovietica e dipoi della Russia.
Poco attento per formazione culturale alle purtroppo determinanti questioni economiche…
Questi il candidato repubblicano alla Casa Bianca per il 2008 John McCain!
Rappresentava il ‘vecchio’ e affrontava nell’esplodere di una crisi appunto economica che si prospettava e sarà di grande portata il deprecabile ‘nuovo’, incarnato in ogni possibile modo dal democratico Barack Obama.
Poteva mai prevalere?

11 aprile 2024

Presidenziali del 1992

Alle urne il 3 novembre.
Vota il cinquantacinque e due per cento degli aventi diritto con un aumento pari al cinque, dati i tempi, decisamente non poco.
Con ogni probabilità, a convogliare, sia pure relativamente, un numero maggiore di elettori è che per la prima volta da due decenni abbondanti (l’ultimo precedente serio data 1968 e riguarda George Wallace) un terzo candidato ha voce in capitolo.
Per il vero, l’indipendente miliardario texano Ross Perot, nella circostanza, conquista addirittura il diciannove per cento del voto popolare ma non vince neppure uno Stato, ragione per la quale incide solo togliendo a George Herbert Bush l’acqua nella quale nuota abitualmente o almeno così la maggior parte degli osservatori ritiene.
Da segnalare che, essendo il gradimento nei sondaggi del texano particolarmente rilevante viene ammesso ai dibattiti televisivi nazionali nella fase conclusiva della tornata.

Nel campo repubblicano, per quanto il Presidente uscente sia decisamente riproponibile e con buone possibilità (si è conclusa positivamente la Guerra del Golfo cosa che farà erratamente ritenere Bush imbattibile da parte dei big democratici che lasceranno strada a un outsider, come vedremo), non mancano le critiche che si incarnano nel giornalista e opinionista tv nonché ex consigliere presidenziale Patrick Buchanan.
Nominato comunque a Houston – sempre seguito dal criticatissimo Vice Dan Quayle – George Herbert Bush sarà protagonista di una campagna in tono minore che Maldwyn Jones afferma essere stata poco a contatto con la gente comune e distante dai problemi di tutti i giorni degli elettori.

Il Partito Democratico invece, fuori gioco come detto Gary Hart e incredibilmente assente il Governatore del New York Mario Cuomo che tutti i sondaggi davano per favorito, schiera nelle Primarie un notevole numero di candidati.
Tra gli altri, il Governatore della California Jerry Brown, l’ex Senatore del Massachusetts Paul Tsongas, il Senatore del Nebraska Bob Kerrey, il Senatore dell’Iowa Tom Harkin e, estremo outsider in quanto proveniente da uno Stato periferico e trascurato, il Governatore dell’Arkansas Bill Clinton.
Abilissimo e in grado di convincere un eschimese a comprare un frigorifero, mettendo in fila una serie di successi nelle Primarie, sarà quest’ultimo ad ottenere a Houston la Nomination.

Come altra volta detto, molto difficile la defenestrazione di un Presidente in carica e in cerca di rinnovo se quegli è un democratico.
Più facile, quando si tratti di un repubblicano.
Approfittando della citata malavoglia di Bush, della crisi economica e dei provvedimenti presi dalla sua amministrazione per contrastarla (il negato aumento delle tasse invece attuato), Clinton riuscirà a vincere nettamente in questo imitando i predecessori esponenti dell’Asinello Grover Cleveland (vittorioso su Benjamin Harrison), Woodrow Wilson (su William Taft), Franklin Delano Roosevelt (su Herbert Hoover) e Jimmy Carter (su Gerald Ford).

I risultati?
Clinton, trentadue Stati più il Distretto di Columbia e trecentosettanta Elettori.
Bush, diciotto Stati e centosessantotto voti al Collegio.

Per inciso, Bush – l’abbiamo già detto – era il secondo Vice capace di approdare a White House subito dopo avere esercitato il ruolo.
Prima di lui, addirittura nel 1836, Martin Van Buren.
Ebbene, proprio come Van Buren, non gli riuscì di essere confermato.

11 aprile 2024

A proposito di aborto: Trump, attendista, viene criticato da Pence

Assoluta la pericolosità politica del tema aborto.
Al riguardo, l’ex Presidente Trump – venendo immediatamente accusato di doppiopesismo e peggio dai democratici – ha dichiarato che, in caso di rielezione, non ci sarà un divieto a livello nazionale e saranno gli Stati a decidere come legiferare sul tema.
Immediata la replica del suo Vicepresidente Mike Pence:
“Da Trump è arrivato uno schiaffo in faccia ai milioni di americani pro-life che votarono per lui nel 2016 e nel 2020”.
Difficile invero per Trump ma per qualche verso anche per Biden la situazione in atto.

10 aprile 2024

Cosa sta facendo in prospettiva Ron DeSantis?

“Il Governatore della Florida Ron DeSantis ha riunito circa cento tra i suoi migliori sostenitori e donatori durante l’ultimo fine settimana all’Hard Rock Hotel and Casino del sud della Florida per dire ‘grazie’ e per prefigurare quello che potrebbe essere il suo futuro”, riferisce NBC News.
“Le aspirazioni presidenziali di DeSantis per il 2024 sono rapidamente andate in pezzi, ma c’è già la sensazione all’interno dell’organizzazione che ha costruito per la sua campagna che stia guardando ad un’altra corsa nel 2028, quando probabilmente l’ex Presidente Donald Trump non si ricandiderà”.

Quanto alle righe finali sopra riportate, ovviamente dato il disposto del Ventiduesimo Emendamento, se rieletto il prossimo 5 novembre, il tycoon sarebbe impossibilitato a riproporsi nel 2028.
Se invece fosse sconfitto nella competizione in corso, candidandosi nel prossimo bisestile, pareggerebbe il record di Franklin Delano Roosevelt (quattro Nomination di un grande partito consecutive) il quale, però, quando gli accadde (1932, 1936, 1940 e 1944) vinse sempre.

10 aprile 2024

Gli sconfitti: Bob Dole, classico ‘candidato d’onore’

Capita – in particolare quando un Presidente in carica e in cerca di un nuovo mandato sia con evidenza difficilmente battibile – che il partito avverso, quasi inavvertitamente palpando per così dire l’aria che tira, candidi un proprio esponente certamente di spicco, d’onore (tale la mia definizione nel caso), ma in qualche modo sorpassato.
Destinato pertanto a perdere, anche se dignitosamente.
(Non, come quando semplicemente proponga l’uomo sbagliato e il malcapitato venga travolto).
Guardando a un passato abbastanza lontano, il repubblicano Theodore Roosevelt imperversante, per dire, il democratico Alton Parker (1904).
Ad anni più recenti, opponendo al rampante Bill Clinton, l’usurato, già sconfitto quale Running Mate di Gerald Ford nel 1976, Elefantino Bob Dole (1996).
(Memorabile nel dibattito pre elettorale tra i due la frase pronunciata dal Presidente che non potendo semplicemente dire che il rivale era sorpassato se ne uscì con un “non è vecchio, lo sono le sue idee!”)
Nel caso, l’incumbent vince con relativa facilità.

10 aprile 2024

Presidenziali del 1988

Chiamati alle urne l’8 novembre, gli elettori – orfani di un Presidente di successo e carismatico come Ronald Reagan cui il famoso Emendamento del 1951 impedisce una terza elezione e del quale pertanto rende improponibile la candidatura – non accorrono numerosi e la percentuale dei votanti si ferma al cinquanta e due.
Una campagna particolare e probabilmente quella nella quale i sondaggi, in uso dal 1936 quanto alle presidenziali, furono maggiormente altalenanti.
(Per inciso, non semplicemente sbagliati, volutamente o meno, come nel 1948 e soprattutto nel 2016).
Il candidato democratico Michael Dukakis, difatti, a giugno risultava vincente con un margine stratosferico – il diciassette per cento – sul rivale GOP George Herbert Bush per dipoi declinare e perdere con un distacco netto del dieci.
La battaglia interna ai due schieramenti nel corso di Caucus e Primarie era stata incerta almeno inizialmente.
Dukakis, Governatore del Massachusetts, prima di essere investito con facilità alla Convention di Atlanta, aveva difatti dovuto contrastare il Reverendo Jesse Jackson, per la seconda volta in corsa per la Nomination dell’Asino.
Quanto al secondo componente il ticket dem, la scelta cade sul Senatore Lloyd Bentsen, texano e considerato utile al fine di conquistare gli Stati del Sud.
Guardando agli altri pretendenti – a quelli in corsa anche solo per un momento – almeno due i nomi da segnalare perché a loro l’Asinello ricorrerà più avanti: i Senatori Al Gore del Tennessee e Joe Biden del Delaware.

Tra i repubblicani, il Vice Presidente George Herbert Bush – infine, acclamato alla Convention di New Orleans – aveva a sua volta trovato nelle prime consultazioni un oppositore di qualche peso nel leader GOP al Senato Bob Dole.
Trascurabile, invece, la conflittualità con il predicatore Pat Robertson.
Bush (che sarà dopo Martin Van Buren nel 1836 il secondo Vice ad arrivare a White House nel mandato immediatamente successivo a quello nel quale aveva esercitato appunto da secondo) sceglie quale suo coequipier il giovane Senatore dell’Indiana Dan Quayle.
(Sarà, Quayle, talmente incolore e incapace che nel successivo 1992 la propaganda democratica, martellando, ripeterà il minacciosissimo slogan “Non votate Bush. Dovesse morire gli succederebbe Quayle!”).

Una campagna – quella finale tra Bush e Dukakis – tra le peggiori quanto a livello etico, visto che i due campi si rivolsero accuse, molte decisamente inventate – di ogni tipo e genere.
L’esito?
Bush, quaranta Stati e quattrocentoventisei Elettori (ricordo: con l’iniziale maiuscola per distinguerli da quelli comuni essendo loro compito effettivo eleggere il Capo dello Stato nel Collegio del quale entrano a fare parte).
Il Governatore del Massachusetts dieci Stati oltre al Distretto di Columbia e centoundici voti al Collegio.

Come si vede, all’appello (cinquecentotrentotto i membri del Collegio) manca un voto.
Ebbene, un Elettore del West Virginia si espresse infine non per Dukakis/Bentsen ma per Bentsen/Dukakis.
Contento lui…

10 aprile 2024

Minnesota: storia elettorale in occasione delle presidenziali

1860: Repubblicano (Lincoln)
1864: Repubblicano (Lincoln)
1868: Repubblicano (Grant)
1872: Repubblicano (Grant)
1876: Repubblicano (Hayes)
1880: Repubblicano (Garfield)
1884: Repubblicano (Blaine)
1888: Repubblicano (B. Harrison)
1892: Repubblicano (B. Harrison)
1896: Repubblicano (McKinley)
1900: Repubblicano (McKinley)
1904: Repubblicano (T. Roosevelt)
1908: Repubblicano (Taft)
1912: Progressive (T. Roosevelt)
1916: Repubblicano (Hughes)
1920: Repubblicano (Harding)
1924: Repubblicano (Coolidge)
1928: Repubblicano (Hoover)
1932: Democratico (F. D. Roosevelt)
1936: Democratico (F. D. Roosevelt)
1940: Democratico (F. D. Roosevelt)
1944: Democratico (F. D. Roosevelt)
1948: Democratico (Truman)
1952: Repubblicano (Eisenhower)
1956: Repubblicano (Eisenhower)
1960: Democratico (Kennedy)
1964: Democratico (Johnson)
1968: Democratico (Humphrey)
1972: Repubblicano (Nixon)
1976: Democratico (Carter)
1980: Democratico (Carter)
1984: Democratico (Mondale)
1988: Democratico (Dukakis)
1992: Democratico (B. Clinton)
1996: Democratico (B. Clinton)
2000: Democratico (Gore)
2004: Democratico (Kerry)
2008: Democratico (Obama)
2012: Democratico (Obama)
2016: Democratico (Hillary Clinton)
2020: Democratico (Biden)

10 aprile 2024

I ‘Codici Neri’ e i ‘Borboni’ in America

Terminata che fu la Guerra di Secessione, il Sud oppose non poche resistenze alle richieste del Presidente Andrew Johnson, richieste che dovevano necessariamente essere accolte dalle singole assemblee locali acché gli Stati potessero essere riammessi nell’Unione.
Il successore di Lincoln e il Nord chiedevano che fossero sconfessate le delibere di Secessione a suo tempo votate, che gli Stati non si rifiutassero di onorare i debiti di guerra della Confederazione, che fosse ratificato il Tredicesimo Emendamento che aboliva la schiavitù.
Invitavano, inoltre, a concedere il diritto di voto almeno a qualche esponente qualificato della comunità di colore.
Con estrema riluttanza, ai primi tre dettami fu in qualche modo data attuazione.
Non invece al quarto.
Nelle seguenti votazioni, per di più, molti tra gli eletti risultarono fortemente collegati alla Confederazione e, addirittura, la Georgia arrivò ad inviare al Senato di Washington Alexander H. Stephens, già vice di Jefferson Davis.
Parve, quindi, ai Nordisti che il Sud non considerasse la sconfitta come definitiva e cercasse una sia pur relativa rivalsa.
Accadde, poi, che i nuovi organi legislativi degli Stati sudisti approvassero nel 1865 e nel 1866 i cosiddetti ‘Codici Neri’.
Il contenuto di questi codici variava da Stato a Stato, ma tutti avevano il medesimo obiettivo: mantenere i neri affrancati in un sostanziale stato di subalternità.
Venivano, tali disposizioni, giustificate dai Sudisti come indispensabili per regolare e graduare il passaggio degli ex schiavi dalla catena alla libertà.
Venivano, tali leggi, considerate dai Nordisti quali pessime eredità delle norme schiaviste in auge fino a poco tempo prima.
A por fine alla validità dei ‘Codici Neri’ provvidero, dapprima l’approvazione – contrastatissima in quanto dovette superare il veto presidenziale ottenendo in seconda lettura l’adesione dei due terzi – di una disposizione di legge che autorizzava a denunciare ai tribunali militari i casi di discriminazione razziale, e, dopo, l’altrettanto e ancor più difficile e per molti versi illegittima ratifica del contestatissimo Quattordicesimo Emendamento.
Terminata che fu la Guerra di Secessione, trascorsi i primi successivi tempi nei quali in molteplici casi gli Stati e le città del Sud sconfitto furono amministrati da progressisti, una forte ondata fece tornare al potere i conservatori.
E non si trattò solo di un ‘ritorno’ politico perché i riflessi di questo nostalgico flusso si videro in altri campi.
Non pochi, ad esempio, i romanzi e i saggi nei quali si trattava della vita pregressa, in particolare, nelle piantagioni, esaltandola.
In breve tempo, i democratici ex schiavisti, e da quel momento e per quasi un secolo segregazionisti, presero quota occupando costantemente i Governatorati.
Ricordando a qualcuno, eccessivamente a dire il vero, tutto ciò il momento storico nel quale i Re di Francia erano tornati sul trono dopo la rivoluzione e l’era napoleonica con l’intento di restaurare il restaurabile, i Sudisti che cercarono il predetto ‘ritorno’ al passato furono chiamati ‘Borboni’:
Per inciso, essendo i repubblicani gli avversari dello schiavismo, per i successivi settantacinque anni, con l’eccezione del 1928 (i democratici, nell’occasione, candidarono per White House Alfred Smith che era cattolico la qual cosa bastò ad alienargli il voto del Sud), il partito dell’Asino, nelle elezioni presidenziali, vinse sempre in tutti gli Stati meridionali.

10 aprile 2024

Gli sconfitti: George Wilcken Romney e il figlio Mitt

Allorquando, in vista delle presidenziali del 2008, l’ex governatore del Massachusetts, il mormone Mitt Romney propose la propria candidatura per ottenere la nomination tra i repubblicani (tutti sanno come andò a finire allora e in seguito: sconfitto nell’occasione da John McCain nelle primarie, si ripresentò nel successivo 2012, ottenne l’agognata investitura ma fu battuto dal presidente in carica Barack Obama), subito mi tornò alla mente la figura del padre, George Wilcken Romney.
Non tanto per le sue pur molto felici imprese politiche – fu successivamente governatore del Michigan, da 1963 al 1969, e nel corso del primo mandato di Richard Nixon (a lui preferito dagli elettori nelle primarie) segretario di Stato allo sviluppo delle abitazioni e delle aree urbane – quanto per due particolarità.
In primo luogo, perché la sua candidatura fu all’origine di un importante dibattito dato che, essendo egli nato in una colonia mormone nel Chihuahua, Messico, sembrava non possedere uno dei tre requisiti richiesti dalla Costituzione per diventare presidente (e, quindi, per candidarsi): la cittadinanza USA dalla nascita.
La questione (che fu all’ordine del giorno anche quando il predetto McCain si propose visto che era a sua volta venuto al mondo fuori dagli States – a Panama – e che è tornata d’attualità nel 2015, essendosi candidato per il 2016 Ted Cruz, nato in Canada) fu risolta sostenendo che la corretta interpretazione del dettato costituzionale doveva portare a ritenere cittadini appunto dalla nascita anche i nati non in terra americana ma dovunque purché da genitori statunitensi.
In secondo luogo, per il capitolo a George Wilcken Romney dedicato da Raymond Cartier, ovviamente trattando in particolare del Michigan, nell’eccezionale ‘Le cinquanta Americhe’, 1961 in Francia e 1962 da noi.
Un Romney, quello del saggista francese, protagonista, in un periodo precedente a quello del suo impegno politico, di un’impresa maiuscola in campo industriale.
Riprendo, citando, elaborando, partendo dal quadro che della situazione anni Cinquanta dà il citato Cartier, le pagine in questione:
“Lunghe, alate, cromate, così le automobili USA prodotte a Detroit nella prima metà degli anni Cinquanta del Novecento.
Dominanti quanto a vendite, incuranti della impalpabile concorrenza delle marche europee, le case costruttrici si ritenevano inattaccabili e nulla pareva turbare la loro serenità.
Ma ecco un primo campanello d’allarme:
1955, la Volkswagen sfonda vendendo la bellezza di trentacinquemila vetture e arrivando a cinquantamila l’anno successivo.
(E’ ambientato a Baltimora nel 1963, ma l’ottimo ‘Tin men’ di Barry Levinson, in particolare nel finale, rende benissimo il ‘momento’ in questione).
E’ in quella temperie che il direttore di una società del ramo automobilistico indipendente e secondaria chiamata Nash fonde l’azienda della quale è alla guida con l’altrettanto secondaria e indipendente Hudson creando la American Motors per tentare l’avventura dedicandosi alla progettazione e realizzazione di una macchina di dimensioni minori, più ragionevoli.
E’ ovviamente George Wilcken Romney il desso che, nel propagandare la propria attività, paragona le auto usualmente prodotte dalle case di Detroit ai dinosauri:
‘Avevano le più belle griglie di radiatore della preistoria ma sono diventati così grossi che sono morti’, dice.
Ed ecco che, riprendendo un antico nome di auto, propone la Rambler, una specie di abile compromesso tra una vettura americana e una del vecchio continente.
Pochi anni davvero e, malgrado lo scetticismo generale, già nel 1957 del nuovo modello si vendono ottantottomila vetture.
Duecentomila nel successivo 1958; oltre quattrocentomila nel 1959.
Le azioni della sua American Motors, cadute a cinque dollari poco dopo il debutto borsistico, cominciano una ascesa che le porta a valere quasi venti volte tanto.
Le vie e le strade sono (relativamente) a questo punto invase dalle auto europee ma anche dalle macchine prodotte e vendute da Romney.
Nel correre tardivamente ai ripari, è proprio al modello Rambler che le case di Detroit faranno riferimento”.
Così Raymond Cartier, il quale, scrivendo nel 1960, non poteva sapere quali strade in futuro il mormone avrebbe felicemente percorso.

9 aprile 2024