Gli sconfitti: John Breckinridge

Il più giovane Vicepresidente della storia degli Stati Uniti: eletto con James Buchanan nel novembre del 1856, aveva trentacinque anni!
Il candidato alla Presidenza in grado di conquistare, per i democratici del Sud, non il maggior numero di voti popolari ma il maggior numero di delegati nelle presidenziali del 1860 nelle quali era opposto a Abraham Lincoln, John Bell e Stephen Douglas.
Uno dei Senatori espulsi (4 dicembre 1861) dalla camera alta federale a seguito della dichiarata adesione alla Confederazione sudista.
Generale, dipoi maggior generale nell’esercito confederato.
Ministro della guerra dal gennaio all’aprile del 1865 della predetta Confederazione.
Esule in Europa dopo la sconfitta del Sud.
Passato a miglior vita a soli cinquantaquattro anni, John Cabell Breckenridge visse poco ma molto intensamente!

30 marzo 2024

Idaho: storia elettorale in occasione delle presidenziali

1892: Populista (Weaver)
1896: Democratico (Bryan)
1900: Democratico (Bryan)
1904: Repubblicano (T. Roosevelt)
1908: Repubblicano (Taft)
1912: Democratico (Wilson)
1916: Democratico (Wilson)
1920: Repubblicano (Harding)
1924: Repubblicano (Coolidge)
1928: Repubblicano (Hoover)
1932: Democratico (F. D. Roosevelt)
1936: Democratico (F. D. Roosevelt)
1940: Democratico (F. D. Roosevelt)
1944: Democratico (F. D. Roosevelt)
1948: Democratico (Truman)
1952: Repubblicano (Eisenhower)
1956: Repubblicano (Eisenhower)
1960: Repubblicano (Nixon)
1964: Democratico (Johnson)
1968: Repubblicano (Nixon)
1972: Repubblicano (Nixon)
1976: Repubblicano (Ford)
1980: Repubblicano (Reagan)
1984: Repubblicano (Reagan)
1988: Repubblicano (G. H. Bush)
1992: Repubblicano (G. H. Bush)
1996: Repubblicano (Dole)
2000: Repubblicano (G. W. Bush)
2004: Repubblicano (G. W. Bush)
2008: Rapubblicano (McCain)
2012: Repubblicano (Romney)
2016: Repubblicano (Trump)
2020: Repubblicano (Trump)

30 marzo 2024

Presidenziali del 1944

Si vota il 7 novembre.
Cinquecentotrentuno gli Elettori da eleggere.
Duecentosessantasei i voti necessari per raggiungere la maggioranza assoluta.
Cinquantacinque e nove per cento i votanti con un netto calo – sei e sei in percentuale – rispetto alla precedente tornata.
Entrambe le Convention si svolgono a Chicago.
Per quanto si dubiti del suo reale stato di salute, Franklin Delano Roosevelt, per la quarta volta consecutiva, ottiene il mandato dal Partito Democratico.

Si ricorda qui incidentalmente che a seguito del successivo Emendamento del 1951 nessuno potrà più essere eletto Presidente più di due volte.

Il Vice Presidente Henry Wallace – troppo liberal e progressista secondo molti componenti l’establishment – per quanto non sia malvisto da F.D.R., viene sostituito nel ticket dal Senatore del Missouri Harry Truman, un chiacchieratissimo uomo politico, in origine legato al boss della malavita organizzata del suo Stato Tom Pendergast, entrato in Senato nel 1935 ma quivi ben inserito.

Il Partito Repubblicano nutre fiducia riguardo all’esito elettorale visto il successo conseguito nelle Mid Term Elections di due anni prima.
Fuori gioco il conservatore Robert Taft che preferisce al momento restare alla Camera Alta, esclusa l’ipotesi Generale Douglas McArthur essendo fra l’altro il capo delle Forze Armate del Pacifico ancora impegnato in Oriente, cancellato il candidato del 1940 Wendell Wilkie sconfitto nettamente nelle Primarie e ritirato, l’investitura GOP va al nel frattempo (era prima, nel 1940, all’epoca della precedente Convention, Procuratore del Distretto di New York) diventato Governatore dello Stato che ospita la Grande Mela Thomas Dewey.
A temperare il peraltro tenue suo liberalismo, con lui il Senatore dell’Ohio, l’isolazionista John Bricker.

Campagna elettorale intensa, nella quale un brillante e all’apparenza sanissimo Roosevelt respinge bene l’assalto del rivale.
Da segnalare, comunque, che in questa quarta occasione il Presidente confermato otterrà meno delegati al Collegio Elettorale e vincerà in un minor numero di Stati.
Ecco i numeri:
F.D.R., trentasei Stati e quattrocentotrentadue voti al Collegio.
Thomas Dewey, dodici Stati e novantanove Elettori.

Tipico ‘perennial candidate’ – è in cotal modo denominato nel gergo elettorale americano colui che costantemente e invano si ripropone per una carica pubblica – nella circostanza per il Partito Socialista corre per la quinta volta (nel 1948 chiuderà con la sesta discesa in campo) Norman Thomas.

30 marzo 2024

La Georgia volgerebbe a favore di Trump

E va bene.
Pur sapendo perfettamente che i sondaggi d’oggi, a sette mesi e briscola dal voto dicono poco o niente…
Pur cosciente del fatto che in assoluto contrasto con quanto oggi attesta 270towin solo l’altro ieri Bloomberg asseriva praticamente il contrario…
Prendo atto che la Georgia, fino meno di ventiquattr’ore fa ‘toss-up’ (incertissima) può essere attribuita a Donald Trump.
La bellezza di sedici Electors, non poco.
In generale, pertanto, il serissimo sito dice che il totale dei delegati che fanno capo agli Stati ancora non assegnabili (Arizona, Michigan, Nevada, Pennsylvania e Wisconsin) è sceso a sessantuno.

29 marzo 2024

Gli sconfitti: DeWitt Clinton, nulla a che fare con Bill

Non è che essere stati Sindaco di New York porti bene quanto a successive candidature alla Presidenza.
Perfino quanto all’ottenimento della Nomination.
L’abbiamo verificato con Rudolph Giuliani (nel 2008) nonché nel 2020, seguendo la certamente poco brillante avventura di Bill de Blasio.
Un repubblicano il primo, un democratico il secondo.
A dimostrazione del fatto che non si tratti di una questione partitica.

Unica (e lontana nel tempo) relativa difformità, peraltro non ottimizzata, quella rappresentata da DeWitt Clinton.
Fra i massimi esponenti Democratico Repubblicani, il Nostro era indubbiamente affezionato alla carica di Major della futura Grande Mela che ricoprì tre volte dopo essere stato Senatore e prima di arrivare al Governatorato ad Albany.
Ebbene, nel 1812, opposto al Presidente in cerca di un secondo mandato Padre della Patria e Fondatore James Madison, anch’egli Democratico Repubblicano, fu vicino alla vittoria.
Gli sarebbe bastato, infatti, conquistare nella circostanza la Pennsylvania (si dice così ma in termini di suffragi popolari restò lontano) e i suoi venticinque Elettori per vincere.

Da segnalare e sottolineare il fatto, davvero particolare, che nella circostanza fu appoggiato anche dal Partito Federalista che, declinante, non aveva proposto un proprio candidato e che per conseguenza egli venga a volte ricordato erroneamente appunto come aderente al movimento di John Adams.

Fu quel Clinton – nipote di George, a sua volta Vice sia con Jefferson che con Madison e assolutamente come lui non apparentato con Bill (del resto, questi, alla nascita, William Jefferson Blythe III) – quanto ai destini politici nazionali dei Sindaci nuovaiorchesi, quindi, l’eccezione (relativa, relativa) che conferma la regola.

29 marzo 2024

Hawaii: storia elettorale in occasione delle presidenziali

1960: Democratico (Kennedy)
1964: Democratico (Johnson)
1968: Democratico (Humphrey)
1972: Repubblicano (Nixon)
1976: Democratico (Carter)
1980: Democratico (Carter)
1984: Repubblicano (Reagan)
1988: Democratico (Dukakis)
1992: Democratico (B. Clinton)
1996: Democratico (B. Clinton)
2000: Democratico (Gore)
2004: Democratico (Kerry)
2008: Democratico (Obama)
2012: Democratico (Obama)
2016: Democratico (Hillary Clinton)
2020: Democratico (Biden)

29 marzo 2024

Presidenziali del 1940

Alle urne il 5 novembre.
Ancora cinquecentotrentuno i componenti il Collegio Elettorale da eleggere.
Di nuovo duecentosessantasei la maggioranza assoluta degli stessi da raggiungere.
Sessantadue e cinque per cento gli aventi diritto al voto effettivamente recatisi ai seggi.
Per la prima volta nella storia delle presidenziali USA, il Presidente in carica cerca ed ottiene una terza investitura dal suo partito.
È Franklin Delano Roosevelt che tradisce la tradizione.
Nessuno prima (salvo, per il vero, soccombendo in sede di Convention, Ulysses Grant nel 1880) si era riproposto per un terzo mandato non perché esistesse una norma limitante in proposito.
No, solo per dare seguito alle parole del Padre della Patria George Washington il quale, nel 1796, aveva rifiutato una nuova candidatura (ed una certa elezione) dicendo che nessun uomo poteva sopportare con profitto per la Nazione e fisicamente più di due mandati presidenziali.
Sarà, per inciso, proprio a seguito della decisione di F.D.R. – che si riproporrà poi anche nel 1944 – che il Congresso nel 1951 approverà il XXII Emendamento che vieta una terza elezione, per non parlare ovviamente di una quarta.

Non essendo chiaro – tutt’altro – se davvero F.D.R. avrebbe chiesto una terza chance, il Partito Democratico sembrava dover scegliere tra lo storico Vice Presidente John Garner e il Postmaster General James Farley.
Alla fine, nella Convention riunita in Chicago, l’Asinello confermò invece Roosevelt: si disse (lo stesso Presidente in qualche modo sostenne) che essendo in corso in Europa la guerra, alla Casa Bianca doveva restare un uomo di esperienza, non subentrare un novellino.
Non pochi, comunque, accettarono con difficoltà l’accadimento.
Non pochi pensarono ad una manovra studiata e corrispondente alla “tipica tortuosità di comportamento” del due volte Capo dello Stato.
A sostituire Garner nel ticket, il Segretario all’Agricoltura Henry Wallace, un progressista.

Il Partito Repubblicano, in quel di Philadelphia, sembrava dovesse scegliere obbligatoriamente tra due possibili candidati: l’attivissimo Procuratore del Distretto di New York Thomas Dewey e il Senatore dell’Ohio Robert Taft, figlio dell’ex Presidente William ma personalmente di grande spessore, tanto che più tardi una commissione a tale incombenza delegata lo indicherà tra i cinque più importanti e incisivi Senatori della storia americana.
Nella contrapposizione, Dewey e Taft accettarono di ritirare la candidatura e la Convention, al sesto ballottaggio, elesse il businessman dell’Indiana Wendell Wilkie.
Con lui, nella formazione, il Senatore dell’Oregon Charles McNary.

Argomento principale della campagna, ovviamente, la possibile entrata nel conflitto degli Stati Uniti.
Wilkie accusò F.D.R. di essere pronto a portare il Paese a combattere.
Roosevelt, promise che i giovani non avrebbero partecipato “ad alcuna guerra straniera”, qualunque cosa ciò significasse.
Per quanto il GOP si battesse al meglio conquistando decisamente più voti rispetto a Landon, il Presidente uscente ottenne una comoda rielezione.
Questo l’esito:
Franklin Delano Roosevelt, trentotto Stati e quattrocentoquarantanove Elettori
Wendell Wilkie, dieci Stati e ottantadue voti al Collegio.

29 marzo 2024

Chris Christie rifiuta la candidatura offerta da No Labels

Rifiutando con cortesia l’offerta avanzatagli dal movimento No Labels (Nessuna etichetta, sostanzialmente) – fra l’altro appena rimasto orfano visto che il fondatore e chairman Senatore Joe Lieberman è deceduto a seguito di una caduta – l’ex Governatore del New Jersey, repubblicano, Chris Christie ha dichiarato:
“Apprezzo la proposta ricevuta di portare avanti una candidatura alternativa.
Credo però che se non c’è un serio percorso per vincere e se la mia candidatura in qualsiasi modo o forma potrebbe aiutare Donald Trump a diventare di nuovo presidente, allora non sia la strada da seguire.”

28 marzo 2024

Il direttore musicale della campagna elettorale di Henry Wallace

Una campagna elettorale necessita di un ‘Direttore musicale’?
Henry Agard Wallace – già Vice di Franklin Delano Roosevelt nel terzo mandato, 20 gennaio 1941/20 gennaio 1945 – uscito dal partito democratico, candidato a White House in proprio nel 1948 contro l’uscente Harry Truman, pensava evidentemente di sì.
Diede difatti tale particolare incarico ad Alan Lomax.
Era questi, peraltro, un notevole etnomusicologo e antropologo.
Contava pertanto Wallace su possibili importanti contributi di specifico indirizzo.
Nella circostanza, quindi, appariva assolutamente non adeguata la definizione scelta.
Certamente non per questo, la candidatura dell’ex Vice Presidente del quale Eleanor Roosevelt certamente non tesse nella circostanza le lodi (tutt’altro) naufragò.

28 marzo 2024

Gli sconfitti: Adlai Stevenson, ‘Testa d’uovo’ (‘Egg-Head’)

Adlai Ewing Stevenson II nasce a Los Angeles il 5 febbraio del 1900 e muore a Londra il 14 luglio 1965.

Campagna elettorale per White House del 1952.
Al tramonto Harry Truman (potrebbe ricandidarsi – perché il Ventiduesimo Emendamento del 1951 pone sì limiti in merito al numero dei mandati, limiti che però, come d’uso, non riguardano il Presidente in carica – ma non lo fa o, meglio, solamente, vi accenna), il Partito Democratico, in quel di Chicago come farà anche quattro anni dopo in occasione della sua seconda Nomination, per affrontare – compito davvero ingrato data la considerazione e la fama, roba da far tremare i polsi – il forte candidato repubblicano già nominato Generale Dwight ‘Ike’ Eisenhower (da tutti considerato sic et simpliciter ‘il vincitore della Seconda Guerra Mondiale’ e non è poco), opta per il fino ad allora abbastanza defilato Governatore dell’Illinois Adlai Stevenson.
Uomo “veramente schivo”, lo definisce – a mio modo di vedere non del tutto cogliendone il tratto – Maldwyn Jones nella sua imperdibile ‘Storia degli Stati Uniti d’America’.

È nel corso della seguente contesa che, ispirato dalle fattezze facciali di Adlai (fronte molto alta e calvizie accentuata), intendendo aggredirne l’astrattezza con qualche venatura d’orientamento omosessuale nel caso del tutto immotivata, lo scrittore Louis Bromfield (non, come viene comunemente detto, l’allora candidato Vice repubblicano Richard Nixon, che usò successivamente l’espressione a man salva) lo definisce ‘Testa d’uovo’ (‘Egg-Head’), termine che avrà larga diffusione per un paio e poco più di decenni, e sarà appioppato dagli avversari politici con sottesa disistima anche ai consiglieri di John Kennedy.
Termine al cui utilizzo Adlai risponderà ironicamente dicendo “Teste d’uovo di tutto il mondo, non avete da perdere che il vostro tuorlo”.

È nel mentre di quel certame che a Stevenson, il quale aveva appena terminato una pubblica conferenza (lo storico Robert Remini, in quest’ambito, lo considera “probabilmente l’oratore più dotato”), una spettatrice, avvicinatasi, dice:
“Tutte le persone intelligenti voteranno per lei’, ricevendo in cambio un “Non basterà, Signora. Occorre la maggioranza!”, amara, consapevole risposta che denuncia l’inconsistenza di fondo della democrazia.
E in effetti, come scrive ancora Maldwyn Jones, “lo spirito e l’eloquenza di Stevenson gli accattivarono gli intellettuali ma non riuscirono a scuotere la massa dei votanti”.
(Il solo momento nel quale si pensò potesse anche farcela fu quando nella fase finale del confronto scese in campo al suo fianco un sempre volitivo ed efficace Harry Truman, purtroppo per lui però invano).

Elitario per formazione (arrivò al punto d’interrompere la serie di necessariamente incalzanti manifestazioni elettorali per due tre giorni per isolarsi e limare adeguatamente a suo modo di vedere un discorso e questo mentre gli organi interni al movimento addetti alla propaganda, orfani, anche ferocemente, scalpitavano), il Nostro cercherà di attenuare il proprio cerebralismo astratto nel 1956, allorquando scelto una seconda volta dal partito (non pochi dei cui maggiori esponenti, temendo a debito del per la conferma in corsa Eisenhower una débâcle, evitarono di proporsi).
Sempre Jones, ricorda che nella circostanza adottò “un tono meno elevato facendo deliberatamente errori di grammatica”, con risultati alla fine nelle urne peggiori rispetto a quelli del 1952.
Peraltro – ricco (lo era anche di famiglia, ma questa è un’altra storia) di discordanze e sicuramente memore di quanto a riguardo aveva vergato Walt Whitman (“Ci sono contraddizioni in me? Certo. Sono immenso. Contengo moltitudini!”) – chiese ed ottenne nel campo della critica economica il contributo dell’ottimo John Kenneth Galbraith, al quale, data l’importanza che il Vice aveva assunto nell’amministrazione in carica, disse “Voglio tu scriva i discorsi contro Nixon” e “Non devi avere nessuna pietà!”

Per quanto Gore Vidal, in un breve passaggio della sceneggiatura cinematografica del suo notevole ‘The Best Man’, 1964, ad opera di una sedicente ‘rappresentante dell’elettorato femminile’, additi tra i massimi e più gravi (considerati i tempi) difetti di Stevenson quello “di non essere sposato e di scherzare al riguardo”, in verità, a tale proposito, la sua era una situazione particolare perché la consorte Ellen Borden, dalla quale aveva avuto tre figli, assolutamente repubblicana (lo sottolinea un in fondo divertito Raymond Cartier nello splendido ‘Le cinquanta Americhe’, 1962) e di carattere, non sopportando (lo preferiva quale in precedenza, quando poteva dire: “Poverino, sempre l’assistente di qualcuno!”) il suo proporsi già per il Governatorato per i democratici, aveva divorziato!

Due le particolarità che lo videro protagonista nel campo, diciamo così, tecnologico.
È in primo luogo – ricorda Jill Lepore in ‘These Truths’, 2018, entrambi gli episodi – durante la trasmissione televisiva della CBS che segue lo spoglio il 4 novembre 1952 (giorno nel quale si arrivava al dunque nel suo contendere con Eisenhower) che viene usato, sia pure non in studio ma attraverso collegamenti con Philadelphia, un Univac, un computer cioè e con esiti non negativi quanto alle previsioni.

Poi, benché siano da tutti considerati come i dibattiti televisivi inaugurali (si diede il via il 26 settembre e altri tre fecero seguito per quanto nella memoria collettiva ne permanga solo uno) fra candidati quelli della storica campagna 1960 Kennedy/Nixon, così non è perché invece a dare il là – ideandoli e attivandosi perché a Miami, negli studi della ABC, avesse svolgimento il primo – a questi ancora oggi ritenuti assai significanti confronti fu proprio, in ambito limitatamente partitico è vero, Adlai Stevenson discutendo nel 1956 con il contendente la Nomination democratica Estes Kefauver (correva il 21 maggio) che sarebbe poi stato con lui nel ticket demolito dal repubblicano ‘Ike’ il successivo 6 novembre.
Moderatore nella circostanza – sarà pur giusto ricordarne il nome dato che fu il primo, no? – il già direttore dell’American Civil Liberties Union, Quincy Howe.

(Sempre ad illustrare questo politicamente almeno ‘strano’ individuo, “dotato di amicizie forti, a volte fanatiche, molta intelligenza, troppo spirito e un fascino che sa usare”, e i suoi dubbi – il citato Raymond Cartier aveva sentenziato che un Presidente deve essere per l’ottanta/novanta per cento decisionista mentre Stevenson lo era per il poco che resta – proprio con riferimento alla televisione che come visto usava, disse in una circostanza agli spettatori:
“Posso parlarvi ma non posso ascoltarvi. Non posso ascoltare i vostri problemi… Per farlo, devo uscire di qui”).

Nel citato 1960 – “Non voglio, ma vorrei” – pronunciate l’anno precedente parole quali “Mi piacerebbe che trasformassimo la nostra grottesca campagna presidenziale in un grande dibattito condotto in favore del popolo” – dichiarò ammiccando di non aspirare a una terza Nomination.

Nel corso della campagna, non si espresse per John Kennedy (definito da un editorialista ‘Uno Stevenson con le palle’) che poi appoggiò convintamente una volta scelto.
Riteneva gli spettasse nella nuova amministrazione il ruolo di Segretario di Stato.
Non lo ottenne, venendo invece, alquanto deludentemente?, nominato Ambasciatore all’ONU.
Fu in questo ruolo a rappresentarsi quale equilibrato, e non ascoltato, consigliere di Kennedy nei roventi giorni (ottobre del 1962) della crisi conseguente la scoperta della installazione a Cuba dei missili sovietici.
Come si vede fuggevolmente in ‘Thirteen Days’, pellicola non certamente memorabile datata 2000, ritiene necessaria a dare una spinta determinante alla soluzione del pericoloso impasse la mediazione dell’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite Maha U Thant.
Nella evenienza, sarà altresì vincente protagonista di un serrato confronto con il Rappresentante sovietico in aula ONU Valerian Zorin.

Morirà Adlai Ewing Stevenson II (il cui omonimo nonno era stato Vice di Grover Cleveland dal 1893 al 1897) relativamente giovane, a Londra per un attacco di cuore, a poco più di sessantacinque anni.

Avanti di chiudere, una consonanza forse inimmaginabile del Nostro con un uomo decisamente di tutt’altra pasta, Winston Churchill (che, quanto segue fra poco a parte, secondo il biografo principe del grande Statista, Andrew Roberts, nel 1952, faceva nascostamente il tifo per Adlai contro Eisenhower nelle Presidenziali tanto da arrivare a dire a risultato acquisito “Sono molto contrariato”).
Ora, nel 1895, sulla via di Cuba, un giovane Winston, facendo tappa a New York, fu accolto da Bourke Cockran, un parlamentare americano che nei dieci anni successivi ebbe su di lui notevole influenza in specie nel modo di conversare e nello stile oratorio.
Fu sessant’anni dopo, nel 1955, che sentendolo citare a memoria lunghi estratti dei discorsi di Cockran, stupefatto, Adlai Stevenson gli disse: “È stato anche il mio modello”.

Infine, ad illustrare cosa pensasse di sé, la frase pronunciata dopo la sconfitta del 1952, prima di inviare a Dwight Eisenhower un telegramma degno di un gentiluomo:
“Io sono troppo grande per questo.
Ma fa troppo male per riderne”.

Mancava Adlai “della semplicità e brutalità dei conduttori di popoli”, affermarono alcuni.
Verissimo e, dal un mio particolare punto di vista, per fortuna.
Chapeau!

28 marzo 2024