No Labels non presenterà un ticket alternativo a Biden e Trump

Come era assolutamente prevedibile in particolare dopo la morte del fondatore e chairman Senatore Joe Lieberman, il movimento No Labels (sostanzialmente, nessuna etichetta) non presenterà un ticket per così dire terzo avendo fallito nel trovare candidati.
Ecco quanto in proposito scrive il New York Times:
“Il gruppo, che ha dichiarato l’anno scorso di aver raccolto sessanta milioni di dollari per presentare quello che ha definito un ‘ticket unitario’ bipartisan, ha subito una serie di rifiuti negli ultimi mesi dato che repubblicani e democratici di spicco hanno declinato l’invito a candidarsi sotto la sua ala.
Il movimento aveva affermato che avrebbe presentato un candidato se il Presidente Biden e l’ex Capo dello Stato Donald Trump fossero stati i candidati dei principali partiti”.
Come si vede, non accadrà.

6 aprile 2024

Gli sconfitti: George McGovern, a ricordare il quale valga il mio ‘coccodrillo’

Dalla notte dei tempi!
“Ma, era ancora in vita?”, questa la domanda che mi sono fatto stamattina (corre il 22 ottobre 2012) leggendo della scomparsa ieri a Sioux Falls di George McGovern.
Non che fosse, poi, vecchissimo con i suoi novant’anni (J. Strom Thurmond superò i cento).
Sono i fatti, gli accadimenti storici che lo riguardano che rimandano ad epoche e personaggi davvero lontani.
Lontani, ho scritto, ma importanti se non decisivi.
George – eroico e decorato aviatore nel corso della Seconda Guerra Mondiale – ha debuttato in politica addirittura nel 1948, appoggiando l’ex Vicepresidente Henry A. Wallace, fuoriuscito dal partito democratico, nella sfortunata campagna per White House che lo vedeva sfidare da ‘progressista’ l’uscente Harry Truman, il GOP Thomas E.Dewey e il ‘dixiecrats’ J. Strom Thurmond (non per niente sopra citato).
Quattro seri candidati tra i quali il ‘suo’ Wallace si distingueva per le posizioni ‘di sinistra’ che già avevano indotto nel 1944 Franklin Delano Roosevelt a sostituirlo, appunto con Truman, nel ruolo vice presidenziale.
E a quale altro politico avrebbe mai allora potuto avvicinarsi McGovern, da molti storici ritenuto, allorquando si presenterà in proprio nel 1972, “il pretendente alla Casa Bianca piu’ a sinistra di sempre”?
E’ nel 1972 che Mc – già Senatore e riformatore in senso liberale dei regolamenti interni al suo partito in riferimento ai metodi da adottare per la scelta dei candidati attraverso le Primarie – arriva al top e rovinosamente precipita.
Ottiene, infatti, la Nomination approfittando soprattutto del ritiro dell’unico uomo politico democratico allora apparentemente in grado di sconfiggere il Presidente in carica Richard Nixon, Edmund Muskie.
Travolto da scandali artatamente montati dalla cricca che contornava Nixon (e di questo ho narrato sotto il titolo ‘La lettera canadese’ nel mio ‘Americana’ cui rimando), Muskie lascia il campo.
E’ per conoscere i ‘segreti’ della campagna elettorale che sostiene, appoggia, McGovern che viene dipoi forzata la sede democratica di Washington del partito collocata nel complesso ‘Watergate’, azione dalla quale deriveranno l’enorme scandalo in tal modo denominato e nel 1974 le dimissioni, uniche nella storia, del Presidente confermato appena due anni prima.
Azzoppato in partenza – il suo Vice Thomas Eagleton, che aveva dovuto affrontare cure psichiatriche (un classico ‘scheletro nell’armadio’) e lo aveva taciuto, fu costretto a lasciare e fu sostituito male e tardi – si rivela incapace di condurre una campagna tanto impegnativa in specie se si pensa alla Guerra del Vietnam allora pesantemente in corso.
In proposito, la sua dichiarazione, “Sono disposto ad andare a nuoto fino ad Hanoi per negoziare la pace”, ed altre consimili lo identificarono con gli esponenti del radicalismo politico e culturale all’epoca largamente invisi.
Dubitoso e ondivago su temi quali l’aborto o il consumo della marijuana, Mc fu infine rifiutato dall’elettorato e perse nettissimamente: cinquecentoventi delegati a diciassette per il rivale).
Non domo, nel 1984 si ripropose.
Mal gliene incolse.
Entrato in un maledetto e lungo ‘cono d’ombra’, ne esce oggi nel giorno della dipartita.
Riposi in pace.

6 aprile 2024

Maine: storia elettorale in occasione delle presidenziali

A giustificazione dell’esito particolare delle sotto elencate votazioni del 2016 e del 2020, si ricorda che il Maine (come il Nebraska) non adotta per la nomina dei suoi Electors (coloro che effettivamente votano per il Presidente e che per questo hanno l’iniziale maiuscola, così distinguendoli) il Winner Takes All Method ma un sistema misto anche circoscrizionale

1820: Democratico-Repubblicano (Monroe)
1824: Democratico-Repubblicano (J.Q. Adams)
1828: National Republican (J.Q. Adams)
1832: Democratico (Jackson)
1836: Democratico (Van Buren)
1840: Whig (W. Harrison)
1844: Democratico (Polk)
1848: Democratico (Cass)
1852: Democratico (Pierce)
1856: Repubblicano (Fremont)
1860: Repubblicano (Lincoln)
1864: Repubblicano (Lincoln)
1868: Repubblicano (Grant)
1872: Repubblicano (Grant)
1876: Repubblicano (B. Hayes)
1880: Repubblicano (Garfield)
1884: Repubblicano (Blaine)
1888: Repubblicano (B. Harrison)
1892: Repubblicano (B. Harrison)
1896: Repubblicano (McKinley)
1900: Repubblicano (McKinley)
1904: Repubblicano (T. Roosevelt)
1908: Repubblicano (Taft)
1912: Democratico (Wilson)
1916: Repubblicano (Hughes)
1920: Repubblicano (Harding)
1924: Repubblicano (Coolidge)
1928: Repubblicano (Hoover)
1932: Repubblicano (Hoover)
1936: Repubblicano (Landon)
1940: Repubblicano (Willkie)
1944: Repubblicano (Dewey)
1948: Repubblicano (Dewey)
1952: Repubblicano (Eisenhower)
1956: Repubblicano (Eisenhower)
1960: Repubblicano (Nixon)
1964: Democratico (Johnson)
1968: Democratico (Humphrey)
1972: Repubblicano (Nixon)
1976: Repubblicano (Ford)
1980: Repubblicano (Reagan)
1984: Repubblicano (Reagan)
1988: Repubblicano (G. H. Bush)
1992: Democratico (B. Clinton)
1996: Democratico (B. Clinton)
2000: Democratico (Gore)
2004: Democratico (Kerry)
2008: Democratico (Obama)
2012: Democratico (Obama)
2016: Democratici tre Elettori (Hillary Clinton) Repubblicano uno (Trump)
2020: Democratici tre Elettori (Biden) Repubblicano uno (Trump)

6 aprile 2024

Presidenziali del 1972

Nel 1972 si votò il 7 novembre.
La partecipazione fu pari al cinquantacinque e due per cento degli aventi diritto.
Il risultato elettorale risultò catastrofico per i democratici che, contro il Presidente in carica Richard Nixon, avevano infine candidato il Senatore George McGovern.
Fuori gioco a causa di un attentato George Wallace, rientrato dopo la precedente tornata nei ranghi dell’Asinello, e costretto all’abbandono (vedremo come) Edmund Muskie, già candidato vice con Humphrey, il pacifista del South Carolina ottenne la Nomination.
Nixon vinse in quarantanove Stati su cinquanta lasciando al rivale il Massachusetts e il Distretto di Columbia.
Cinquecentoventi Elettori contro diciassette.
In sede di Collegio Elettorale un voto andò al ticket del Libertarian Party per la prima volta in competizione.
In questo modo ottennero un suffragio John Hospers e la sua Running Mate Theodora ‘Tonie’ Nathan che pertanto risulta essere la prima donna votata in un Collegio Elettorale.

Del resto, il 1972 vide altre due ‘prime volte’ entrambe in campo democratico.
Shirley Chisholm, Rappresentante, candidandosi fu la prima donna di colore a mettersi in gioco per White House.
Patsy Mink, a sua volta, fu la prima asiatica americana (Rappresentante per la Hawaii, per la precisione) a cercare la Nomination.

Annotazioni
1972, McGovern invece di Muskie
Il 25 marzo 1997, a settantotto anni di età, moriva l’ex Segretario di Stato americano (con Jimmy Carter) e candidato alla Presidenza Edmund Muskie.
Per quanto l’uomo sia indubbiamente da annoverare tra i più degni espressi nella seconda metà del Novecento dal Partito Democratico USA, di lui, forse, non metterebbe conto parlare non fosse per il fatto che fu, storicamente, il primo avversario contro il quale si dispiegò l’operato di quei poco raccomandabili ‘sostenitori’ di Richard Nixon successivamente protagonisti del Watergate in quel tristemente famoso anno elettorale 1972.
Alla vigilia dell’importantissima Primaria del New Hampshire (che all’epoca aveva luogo in febbraio e che, tradizionalmente, è la numero uno e per ciò stesso una delle più importanti in calendario), tutti gli analisti, confortati dall’esito dei sondaggi, davano pressoché certa la scelta da parte democratica di Muskie quale antagonista del Presidente in carica nelle votazioni novembrine per White House.
Fu allora che, temendo il forte richiamo popolare che il candidato di origini polacche poteva vantare, gli ‘amici’ di Nixon decisero di usare ogni mezzo per screditarlo e per indurre i democratici a puntare, come in effetti avvenne, su un avversario più facilmente battibile.
Si cominciò introducendo tra i collaboratori di Muskie alcuni infiltrati che ne boicottarono le prime mosse e si proseguì, proprio nel New Hampshire (Stato abitato per la massima parte da bianchi conservatori, se non, addirittura, all’epoca, razzisti), facendo telefonare a tappeto, di notte, a diverse migliaia di elettori da parte di un fantomatico e sedicente gruppo battezzato ‘Harlem per Muskie’ che raccomandava di votarlo perché in precedenti occasioni si era dichiarato favorevole all’integrazione razziale e contrario ad ogni forma di emarginazione.
Ovviamente, visto il tipo di elettorato e l’ora prescelta per telefonare, l’esito per il candidato democratico fu disastroso.

Non ancora certi di averlo affossato a vantaggio di George McGovern (il suo rivale interno al Partito dell’Asino preferito dai nixoniani), ci si adoperò per il colpo finale.
Fu fatta circolare in tutto lo Stato, alla vigilia della votazione e senza che ci fosse il tempo per abbozzare una smentita, una copia falsificata di una lettera – nota, in seguito, come ‘la Lettera canadese’ – nella quale Muskie risultava (e non era assolutamente vero) essersi espresso in termini spregiativi nei confronti della comunità franco canadese di cui moltissimi esponenti risiedono appunto nel New Hampshire.

La conclusione fu che le televisioni americane, alla proclamazione dei risultati della primaria in campo democratico, trasmisero in tutto il Paese l’immagine di un uomo in lacrime sotto la neve, sconfitto non dagli avversari sulla base di un leale confronto di programmi e idee, ma da una meschina e perfettamente riuscita macchinazione.
Così un uomo onesto e assolutamente in grado di ben governare gli Stati Uniti dovette rinunciare ai propri sogni costretto da allora a convivere con una profonda, inguaribile indignazione.
Così (nonché in conseguenza di un attentato che eliminò dalla competizione George Wallace che era rientrato nel Partito dell’Asino), l’assai meno temibile Senatore del Sud Dakota George McGovern ottenne la Nomination democratica.

Lo ‘scheletro nell’armadio’ del candidato alla Vicepresidenza
A rendere ancora più facile la vittoria di Nixon concorse non poco il fatto che la persona scelta dai rivali per affiancare McGovern nel ticket fosse il Senatore del Missouri Thomas Eagleton che in precedenza era stato sottoposto a cure psichiatriche e lo aveva tenuto nascosto (un classico ‘scheletro nell’armadio’).
La ritardata sostituzione – con l’ex Ambasciatore Sargent Shriver – del candidato Vice nonché alcune donchisciottesche e poco realistiche prese di posizione di McGovern consentirono al Presidente in carica – ancora abbinato a Spiro Agnew – di ottenere in carrozza la conferma.

6 aprile 2024

Melania Trump entra in campagna elettorale

“Melania Trump, che è stata in gran parte assente dalla campagna elettorale durante la corsa presidenziale del marito, è tornata nel circuito di raccolta fondi del GOP”, riferisce Politico.
“L’ex first lady terrà il suo primo grande evento dell’anno: una raccolta fondi per i repubblicani di Log Cabin il 20 aprile a Mar-a-Lago, il Palm Beach, in Florida, club dove vivono lei e l’ex presidente e consorte Donald Trump”.

5 aprile 2024

New York Times: Sappiamo molto poco della salute dei candidati

“La verità di lunga data nel sistema politico americano è che i Presidenti e i candidati presidenziali scelgono cosa testare, cosa ignorare, quante informazioni mediche rilasciare al pubblico e, alla fine, cosa gli elettori sapranno sulla loro salute e benessere.
Ma l’elezione tra le due persone più anziane che abbiano mai cercato la Presidenza mette in discussione questa nozione.
Non solo Biden e Trump non stanno facendo nulla in più per rassicurare gli americani che possono condurre bene il loro nono decennio di vita, ma stanno facendo meno dei loro predecessori in alcuni modi importanti”.

5 aprile 2024

A proposito del confronto elettorale democratici/repubblicani

Donald Trump è stato il diciassettesimo Presidente repubblicano eletto a partire dal 1856, anno del primo confronto dell‘appena nato (da due anni) futuro Grand Old Party ma il diciannovesimo in carica dato che vanno aggiunti i subentrati Vice Chester Arthur e Gerald Ford.
I democratici eletti sempre dopo il 1856 sono, Joe Biden incluso, undici, ai quali andrebbe aggiunto Andrew Johnson, succeduto all’assassinato Abraham Lincoln, con il repubblicano a formare un ticket composito come ritenuto opportuno nel 1864, anno ancora di guerra civile.
Dalla pluricitata data, i repubblicani hanno governato per novantasei anni.
I democratici, il corrente 2024 compreso, settantadue.
Venti gli anni di esercizio del potere esecutivo ad opera degli Asini o Asinelli – simbolo del partito questo generoso animale usato dai rivali per attaccare Andrew Jackson e da lui adottato – in precedenza, confrontandosi in specie con i Whig.
Per connessione, gli esponenti come gli elettori del Grand Old Party o GOP (che così sarà denominato e saranno indicati più avanti dopo che il pachiderma fu a loro collegato dal disegnatore Thomas Nast) sono Elefanti o Elefa

5 aprile 2024

Louisiana: storia elettorale in occasione delle presidenziali

1812: Democratico-Repubblicano (Madison)
1816: Democratico-Repubblicano (Monroe)
1820: Democratico-Repubblicano (Monroe)
1824: Democratico-Repubblicano (Jackson)
1828: Democratico (Jackson)
1832: Democratico (Jackson)
1836: Democratico (Van Buren)
1840: Whig (W. Harrison)
1844: Democratico (Polk)
1848: Whig (Taylor)
1852: Democratico (Pierce)
1856: Democratico (Buchanan)
1860: Democratico sudista (Breckinridge)
1864: Repubblicano (Lincoln)
1868: Democratico (Seymour)
1872: Repubblicano (Grant)
1876: Repubblicano (Hayes)
1880: Democratico (Hancock)
1884: Democratico (Cleveland)
1888: Democratico (Cleveland)
1892: Democratico (Cleveland)
1896: Democratico (Bryan)
1900: Democratico (Bryan)
1904: Democratico (Parker)
1908: Democratico (Bryan)
1912: Democratico (Wilson)
1916: Democratico (Wilson)
1920: Democratico (Cox)
1924: Democratico (Davis)
1928: Democratico (Smith)
1932: Democratico (F. D. Roosevelt)
1936: Democratico (F. D. Roosevelt)
1940: Democratico (F. D. Roosevelt)
1944: Democratico (F. D. Roosevelt)
1948: Dixiecrat (Thurmond)
1952: Democratico (Stevenson)
1956: Repubblicano (Eisenhower)
1960: Democratico (Kennedy)
1964: Repubblicano (Goldwater)
1968: Wallace (Indipendente)
1972: Repubblicano (Nixon)
1976: Democratico (Carter)
1980: Repubblicano (Reagan)
1984: Repubblicano (Reagan)
1988: Repubblicano (G. H. Bush)
1992: Repubblicano (G. H. Bush)
1996: Democratico (B. Clinton)
2000: Repubblicano (G. W. Bush)
2004: Repubblicano (G. W. Bush)
2008: Repubblicano (McCain)
2012: Repubblicano (Romney)
2016: Repubblicano (Trump)
2020: Repubblicano (Trump)

5 aprile 2024

Gli sconfitti. Earl Warren: la ragione per la quale non arrivò alla Casa Bianca

“Esiste una particolare Provvidenza divina per i bambini, gli ubriachi, i pazzi e gli Stati Uniti d’America”.
È per confermare tale precisa constatazione (una presa d’atto) di Otto von Bismarck-Schoenhausen che il Destino si è opposto alle aspirazioni presidenziali di Earl Warren.
Governatore della California per tre volte (l’unico eletto ad un terzo consecutivo mandato), candidato alla Vice Presidenza con Thomas Dewey nel 1948 (una delle più imprevedibili sconfitte di un aspirante a White House, quella di Dewey), costretto a lasciare via libera verso la Nomination a Dwight Eisenhower nel 1952, Earl fu nominato Chief della Corte Suprema dallo stesso Ike nel 1953 entrando in carica il 5 ottobre.
Ideologicamente e politicamente seguace dei grandi repubblicani progressisti dell’epoca per lui d’apprendistato Teddy Roosevelt, Hiram Johnson e Robert La Follette, Warren sarà semplicemente straordinario come leader di una Corte che è passata alla storia per le sentenze – da lui guidate e determinate – assolutamente rivoluzionarie e liberali (non ‘liberal’, liberali!).
La demolizione del segregazionismo del Sud democratico e il sostegno ai diritti civili in particolare degli accusati nel processo penale, due dei mille fiori all’occhiello.
Per quanto discusso nella veste di guida indicata da Lyndon Johnson della Commissione che da lui prese il nome, istituita per investigare sull’assassinio di John Kennedy, le cui conclusioni (era Lee Harvey Oswald l’esecutore) non hanno convinto certamente tutti, Earl Warren è probabilmente il solo Presidente della Corte Suprema americana – carica che la citata Provvidenza gli aveva riservato – che si sia avvicinato per competenza, grandezza e decisionismo a John Marshall.
Difficile nel campo fare un complimento più grande.

5 aprile 2024

I timori di Al Gore espressi in morte di Joe Lieberman

“Stiamo vivendo un periodo nel quale è davvero difficile rinvenire la volontà di mantenere il reciproco rispetto pur essendo in disaccordo, di discutere senza cercare di distruggere.
Non pochi sostengono che un livello di pubblico rancore di tale portata trovi un paragone solo guardando agli anni precedenti la guerra civile!”
Questo, in sintesi, il pensiero dell’ex Vicepresidente, già personalmente candidato nel 2000, Al Gore come espresso in occasione dei funerali del Senatore del Connecticut Joe Lieberman, fra l’altro in quel fatidico mentre con lui nel ticket democratico.
Aveva di recente Lieberman fondato un movimento politico che già dal nome, No Labels, ovvero Senza etichette, indicava l’intento di cercare una alternativa, arrivando a proporre un superamento delle contrapposizioni esistenti e un diverso ticket, composito, che consentisse la messa all’angolo sia di Joe Biden che di Donald Trump.
Quanti hanno in tale prospettiva collaborato con l’autorevole Senatore promettono di continuare la ricerca, di battersi sempre per almeno attenuare toni e contrasti.
Scarse se non nulle le loro possibilità.

5 aprile 2024